MATERNITA’ E TRADIZIONI SENEGALESI

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Mag 15, 2024 #dialogo, #donne, #politica, #Senegal

Nel contesto sociale, di qualsiasi cultura si tratti, esistono ruoli ascritti e acquisiti che, nel corso
della vita, si modificano e tendono ad adattarsi costantemente al continuo cambiamento della
società e dell’individuo stesso.
Ad oggi, la donna può essere potenzialmente ciò che vuole, per cui succede che molte tentino di
far conciliare il loro ruolo di donna, di madre, di moglie, di lavoratrice. Sono tutti questi ruoli
acquisiti, con modi e mezzi diversi che però, ci accomunano. C’è chi prima cerca di crearsi una
carriera professionale soddisfacente, frutto di anni di studi e sacrifici; c’è chi invece vuole realizzarsi
dapprima nella sfera affettiva e quindi decide di avere dei figli e crearsi al più presto una famiglia.
Indipendentemente dalla scelta di procreare quanto prima possibile (come avviene in molte
culture africane) o dopo anni di carriera (scelta prediletta dalle donne occidentali), la gravidanza e
il parto formano il cuore dei costumi e delle tradizioni di tutte le etnie, dal momento che ne deriva
la sopravvivenza della comunità.
Nel corso dei millenni, ogni società ha elaborato, attraverso l’osservazione della natura e la
creazione di miti e religioni, un insieme di riti di protezione e di divieti volti a proteggere le madri e
i loro feti/neonati.
Queste credenze sono ancora molto radicate in Senegal, Paese d’origine dei miei genitori; ho
deciso quindi di conoscere più a fondo lo stile di vita della donna senegalese e di studiare le
tradizioni, inerenti a gravidanza, parto e puerperio nelle diverse caste ed etnie.
Credo che, il lavoro dell’ostetrica sia un lavoro “nobile”, in quanto si ha il privilegio di condividere
con le persone (con le donne, con le coppie, con la nuova triade) alcuni dei momenti più
importanti della loro vita. La partecipazione ad esperienze così intime però, fa sì che questo lavoro
non sia affatto semplice se eseguito nel modo corretto, specialmente oggigiorno, dove le donne
con cui entriamo in contatto provengono da tutto il mondo.
Non è rilevante se vivono in Italia da pochi mesi o da anni: molto probabilmente avranno avuto
un’infanzia, un’educazione e un percorso di vita diverso, il quale ha un impatto notevole sul come
vivranno la gravidanza, il parto e il puerperio appunto.
Diventa quindi fondamentale sostituire all’etnocentrismo un atteggiamento di decentramento
culturale al fine di una buona assistenza ostetrica, sia sul piano fisico che psicologico. Non basta
avere un atteggiamento empatico nei confronti della donna, è altrettanto necessario essere curiosi
verso la cultura altrui, chiedersi il perché quella determinata etnia si comporta in quel modo.
Spesso, quando si conoscono le cause di una determinata azione, la si riesce ad accettare più
facilmente, perché si ha la possibilità di rielaborarla sul piano razionale. Accettare forse non è
nemmeno il verbo giusto, perché si rischierebbe di incorrere in ciò che chiamiamo relativismo
etico.
Tematiche di questo calibro (vita, morte, salute), dovrebbero essere analizzate invece, a mio
parere, adottando una posizione differente, ovvero quella del pluralismo etico: attribuisco
legittimità alle diverse opzioni ideologiche, religiose, di costume affermando l’esistenza di tante
etiche quanti sono i soggetti, le esperienze, i punti di vista in gioco. Questa tesi ha quindi anche lo
scopo di invogliare il lettore ad essere più curioso verso l’altro, verso la vita in generale, a
rimuovere il paraocchi, trovare soluzioni alternative e talvolta a pensare fuori dagli schemi.
“Differenze di abitudini e linguaggi non contano se i nostri intenti sono identici e i nostri cuori
aperti”. – Joanne Kathleen Rowling 9
Il Senegal occupa l’estrema parte occidentale dell’Africa sudanese, comprendendo una superficie
di 196 720km². Confina a nord con la Mauritania (813 km), a sud con la Guinea Bissau (338 km), a
sudest con la Guinea (330 km), ad est con il Mali (419 km); possiede ad ovest un tratto di costa di
531km, bagnato dall’oceano Atlantico. Il Paese risulta suddiviso in 14 regioni, con ben 113
municipalità, 370 comunità rurali e 14.400 villaggi. (Linares, 2016; Ngom, 2017)
Secondo l’ultimo censimento effettuato a giugno del 2023 dall’Agenzia Nazionale di Statistica e
Demografia (ANSD), la popolazione senegalese è stimata a circa 18.275.743 (9.184.886 donne e
9.090.857 uomini). Il 47,60% della popolazione risiede in aree urbane, mentre il restante 52,40%
nelle aree rurali. L’età media dei senegalesi è 19 anni. L’età mediana è 18 anni: ciò significa che
metà della popolazione ha meno di 18 anni; questo testimonia come la popolazione del Senegal sia
giovane. (ANSD,2023)
Sebbene in Senegal siano presenti più di 20 etnie, più del 90% della popolazione appartiene a
cinque gruppi etnici dominanti: Wolof (43%), Poular (24%), Sérère (15%), Diola (5%) e Mandingue
(4%). La maggior parte della popolazione senegalese è musulmana (94%). Troviamo anche cristiani
(4%); gli animisti e i restanti culti religiosi rappresentano il 2%. (Ngom , 2017)
Il francese è la lingua ufficiale. Anche se i diversi gruppi etnici hanno il proprio dialetto, la maggior
parte parla la lingua madre, il wolof. Il Wolof non ha una tradizione scritta; quindi, le attività di
informazione e comunicazione ricorrono alla lingua francese se rivolte a persone che hanno
ricevuto istruzione e a carte illustrative se il pubblico è costituito da persone analfabete. (Frazzoli,
2020).
Non si può parlare del Senegal senza nominare la parola Teranga, anzi, questo Paese è conosciuto
proprio grazie a questa parola.
Teranga è una parola in wolof, il dialetto senegalese più parlato e conosciuto a livello nazionale. Il
termine significa accoglienza, ospitalità. In realtà teranga non è una semplice parola, ma uno stile
di vita, l’arte dell’ospitalità e della coltivazione delle relazioni sociali, fondamentali per la società
senegalese; è una filosofia che è stata tramandata di generazione in generazione.
Si riflette nel modo in cui i senegalesi trattano sé stessi. È ancora più palpabile nel modo in cui
trattano i loro ospiti (chiunque essi siano); è uno spirito di rispetto, ospitalità e di comunità; è ciò
che fa percepire il Senegal come una cosa sola e mantiene il popolo unito.
Pilastro fondamentale della cultura senegalese, teranga trascende le differenze etniche e religiose
e la gente la considera con grande orgoglio patriottico. Teranga permea tutti gli aspetti della vita
sociale senegalese: ad esempio, la preparazione e l’offerta di grandi quantità di cibo è direttamente
legata alla teranga. Il cibo residuo non viene mai riciclato o conservato, ma presto offerto a famiglie
più povere o a visitatori fortuiti. (Gilbert,2017; Frazzoli, 2020) 10
Praticare teranga nella vita quotidiana richiede un atteggiamento di rispetto, apertura e tolleranza.
Significa anche che le persone si prendono del tempo per interagire con gli altri come esseri umani:
non importa se l’ospite è un parlamentare o un indigente, tutti meritano teranga.
La spiegazione di questo termine è risultata necessaria dal momento che i senegalesi affermano
che la connessione tra congenialità e femminilità si estenda anche alla fertilità: mostrare ospitalità
è equiparato ad avere un ventre puro, privo di malizia e meschinità, che a sua volta contribuisce ad
avere un bambino sano e puro. Ne consegue che l’atto di cucinare è percepito come una misura
del carattere di una donna: un piccolo piatto equivale a un piccolo cuore. La quantità di cibo che
prepara e serve rappresenta la generosità di una persona, una qualità essenziale della donna e
della moglie ideale senegalese. (Gilbert, 2017)
Le diverse caste ed etnie presenti in Senegal ,Paese dalle grandi aspettative e risultato dell’integrazione tra varie etnie e comunità religiose, il Senegal racchiude a livello politico, sociale e culturale tutte le speranze, i timori, i sogni e i fallimenti dell’Africa post-coloniale. (Barison,2011)
Benché in Senegal siano presenti più di 20 etnie, più del 90% della popolazione appartiene a
cinque gruppi etnici dominanti: Wolof, Poular, Sérère, Diola e Mandingue. (Ngom, 2017)
I Wolof sono l’etnia numericamente e socialmente più importante e costituiscono circa il 43% della
popolazione. Sono prevalentemente presenti nell’ovest del paese (Ndiambour au Cayor, Waalo,
Baol, Djolof, Saloum), nel bacino del centro-ovest e soprattutto nei grandi centri urbani; hanno
quindi il monopolio dell’amministrazione dello stato.

La lingua più diffusa è tipicamente il wolof e la coltura dell’arachide fa parte della loro tradizione culturale. (Barison,2011) La maggior parte dei Wolof sono musulmani e molti sono affiliati alle confraternite dei Mourides o dei Tidjanes.
Gli Halpulaarens (letteralmente “coloro che parlano il peul”) costituiscono il secondo gruppo (24%).
(Ngom, 2017) Secondo le indagini, queste due popolazioni (halpoular e peul) vengono talvolta
conteggiate insieme e talvolta separatamente. I loro territori sono topograficamente più estesi di
quelli dei Wolof, ma spesso si tratta di regioni scarsamente popolate, come il Ferlo, l’Alta
Casamance, la valle del fiume Senegal, principalmente popolata dai Toucouleur. Tradizionalmente
pastori e commercianti nomadi, oggi sono in gran parte sedentarizzati. Oggi, l’urbanizzazione
coinvolge più i Toucouleur rispetto ai Peul.
Il terzo gruppo è quello dei Sérère, concentrati nell’ovest del paese e rappresentanti circa il 15%
della popolazione. Vivono nella Petite-Côte e nel Sine-Saloum, in particolare nelle isole del delta
del Saloum. I Ndut, i Niominkas, i Safènes e altri sottogruppi sono loro affini. Tra i Sérère, sono
presenti importanti comunità cristiane, ma la maggioranza segue l’islam. Hanno comunque
conservato alcune tradizioni della loro religione africana precedente. I Lebu (Lebou, Lébou) sono
un altro gruppo etnico imparentato con i Sérère, che vive nella penisola di Capo Verde. I Lebu
parlano wolof e sono principalmente una comunità di pescatori (detti yeeni géej, la gente del
mare), ma hanno anche un considerevole interesse nel settore dei materiali da costruzione e
nell’immobiliare. (Barison, 2011; Gellar, 2020)
I Diola, piccoli, bellicosi e nerissimi, sono circa il 5% della popolazione, originari della Bassa
Casamance, vivono grazie alla pesca e coltivando riso rosso e bianco con tecniche autenticamente 11
africane. Essi vivono in villaggi dove non esistono capi, caste e schiavitù e gli unici punti di
riferimento sono la famiglia ed il clan. (Barinson,2011; Ngom, 2017)
Altri popoli vivono in Casamance: il loro stile di vita è abbastanza simile a quello dei Diola, ma si
distinguono per le loro lingue, anche se in minoranza. Questi includono i Baïnouk, i Balantes, i
Manjaques, i Mancagnes, ma anche i Karones e i Bandials.
Oltre ai Diola, il grande gruppo dei Mandingue (4%), comprende i Malinkés, i Socés, i Bambaras, i
Diakhankés e i Soninkés (0,8%, di cui una grande parte vive lungo il fiume Senegal e la Falémé,
nell’ex Regno di Galam). I Soninkés sono stati islamizzati prima della maggior parte degli altri
gruppi. (Ngom, 2017)
I Bassaris e i Bédiks, anche se in numero limitato, vivono sulle alture dell’est del Senegal, intorno a
Kédougou. Come i Coniaguis e i Badiarankés, fanno parte del gruppo Tenda.
I Maures, da tempo impegnati in attività commerciali, si sono stabiliti nel nord e nelle città; tra di
loro, il sottogruppo dei Maures Darmanko è presente in Senegal da secoli, su tutto il territorio, ed è
per questo motivo che i Maures sono classificati come un gruppo etnico separato in Senegal, dove
sono chiamati Naar o “Naaru Kajoor” (Maures del Kayor), con Naar che significa Arabi o Maures in
wolof.
In Senegal si parlano una dozzina di lingue. Queste difficoltà sono mitigate dal fatto che circa l’80%
dei senegalesi è in grado di parlare la lingua wolof, considerata come lingua principale. La lingua
dell’antico colonizzatore, il francese, occupa un ruolo di primo piano nelle relazioni fra cittadini e lo
stato, perché la Costituzione senegalese ha riconosciuto il francese come lingua ufficiale, mentre
un decreto del 1971 ha promosso a lingua nazionale il wolof, il serere, il peul, il malinké, il diola e il
soninké.
Nell’ultimo secolo, ciascuna etnia ha imparato a convivere pacificamente con le altre, senza
rimarcare le differenze peculiari di ciascuno. Nonostante a livello culturale il problema dei
matrimoni tra etnie e caste differenti ha posto nel tempo non pochi problemi, le persone, grazie
alla politica messa in piedi da Senghor, hanno imparato a convivere assieme, in pace. (Barison,
2011)
Un tempo costituito da quattro regni – il Walo, a nord del fiume Senegal; il Cayor, a sud lungo la
costa; il Baol, a sud del Cayor; e il Djolof, a est dei tre precedenti – si crede che l’impero Wolof sia
stato fondato nel XV secolo a seguito della caduta dell’impero ghanese, la cui popolazione è
migrata e ha confinato la popolazione Serer nei più piccoli regni di Sine e Saloum, lungo il delta del
fiume Saloum. Nel frattempo, i Lebou gestivano la penisola di Capo Verde, dove l’attuale Dakar si è
espansa. (Gilbert, 2017)
I primi europei sbarcarono sulle coste dell’Africa Occidentale nel XV secolo; i portoghesi fecero
scalo ad Arguin, a nord del fiume Senegal. A partire dal XVI secolo si affacciarono sulle coste
africane gli olandesi, gli inglesi e i francesi. L’Africa Occidentale si presentò come un serbatoio di
uomini docili e robusti a cui attingere con poca spesa e pochi rischi: si avviò così un commercio di
schiavi e di materiali senza precedenti nella storia dell’umanità. (Barison, 2011)
Escludendo i Diola e i Balante della Casamance, al momento dell’arrivo dei portoghesi, la
popolazione nell’attuale territorio del Senegal aveva già vissuto per oltre un millennio all’interno di
12 stati organizzati. Questi stati, in termini di struttura e vita democratica, potevano essere paragonati
alle popolazioni del Nord del Mediterraneo. L’unità di base in tutte le società tradizionali era la
grande famiglia patriarcale, un gruppo di individui che riconoscevano la loro discendenza da un
antenato comune, il fondatore di una stirpe. Il soggetto principale del diritto non era l’individuo,
ma la comunità, la famiglia allargata e il clan. L’autorità era detenuta dagli anziani che avevano
acquisito una profonda conoscenza dei valori etici, delle norme e dei rituali sociali a cui il gruppo
aderiva e il cui rispetto era cruciale per la sua sopravvivenza. Il potere degli anziani era
ampiamente moderato da consigli democratici, in cui gli adulti potevano partecipare e dalle cui
decisioni alla fine dipendeva il destino del gruppo. La divisione in caste aveva principalmente un
significato funzionale, esprimendo la necessità di una distribuzione specializzata delle attività
sociali. Gli stati Wolof si basavano su una struttura sociale altamente gerarchica, con la nobiltà
(geer), seguita dai contadini (badolo), e con le attività artigianali appannaggio della casta dei neño.
I griot o gewel avevano il controllo sulla magia delle parole e godevano di uno status speciale
presso le corti dei re, agendo come storici e biografi, con il loro parere che poteva influenzare le
decisioni più cruciali. All’ultimo gradino si trovavano i jam, cioè gli schiavi, ma con una concezione
diversa da quella comune in Europa o Asia, in quanto avevano diritti politici e potevano godere dei
frutti del loro lavoro. Solo gli schiavi catturati in guerra non avevano né diritti né proprietà
personali e venivano usati come moneta di scambio. Sotto l’influenza dell’Islam, si sviluppò una
nuova categoria: i marabout (marabutti), che acquisirono influenza nelle corti fino al XIX secolo.
Le caste sono un sistema di organizzazione sociale che è stata ufficialmente abolita con
l’indipendenza del Senegal nel 1960. (Tang, 2007)
Nonostante il disconoscimento ufficiale dello stato, il sistema delle caste continua ad avere un
impatto significante nella vita delle persone, specialmente per quanto riguarda gli eventi relativi al
ciclo della vita. (Buggenhagen 2012; Gilbert 2017)
Ad oggi le caste corrispondono quindi a categorie socioprofessionali, suddivise principalmente in
due gruppi:

  • I geer: costituiscono la nobiltà senegalese, che teoricamente non si considera una casta ma
    si colloca al di sopra delle caste. A loro è vietato svolgere lavori manuali, altrimenti
    rischiano di perdere il loro status. Possono, però, essere militari, giuristi, proprietari terrieri,
    allevatori, armatori, affittuari di imbarcazioni da pesca, insegnanti o marabout.
  • I neeño o nieenio (coloro che appartengono a una casta, a differenza dei geer) sono divisi in
    due gruppi di caste:
    o I jef-lekk o “artigiani manuali”, che comprendono le caste dei teug (fabbri, fabbri
    ferrai), oudé (conciatori, calzolai, calzolai, sellai), laobé (taglialegna, carpentieri,
    falegnami, ebanisti) e maabo (tessitori, tintori, sarti).
    o I griot o gewel, “artigiani della parola”, sono raccontatori, recitatori, trasmettitori di
    miti e tradizioni, cantanti, musicisti o lodatori. 13

    Mentre i nobili sono considerati individui riservati, calmi e dignitosi, si dice che i ñeeño siano “più
    pubblicamente performanti, moralmente meno rigorosi e avidi”.
    I sottogruppi professionali che costituiscono il sistema simile alle caste oggi sono meno restrittivi di
    quanto fossero in passato in termini di professione effettiva, specialmente nelle aree urbane (Dial,
    2008; Gilbert 2017)
    Bisogna essere cauti nell’analizzare il sistema di stratificazione dei Wolof e dell’Africa occidentale
    solo in termini di gerarchia: sebbene i nobili di solito si trovino in una miglior situazione rispetto
    agli individui delle altre caste, il rapporto tra le caste è di cooperazione e complementarità, per cui
    possono essere definite come un insieme di gruppi differenziati per capacità innate o fonti di
    potere. (Wright,1989; Gilbert, 2017).
    Solitamente l’appartenenza a una casta è rivelata dal cognome, e le persone si presentano
    formalmente per cognome. Ad esempio, nomi come Mbaye, Mboup, Ngom e Samb sono
    patronimici tipici dei géwël, mentre Diop, Fall e Ndiaye sono patronimici tipici dei géer” (Tang,
    2007). Tuttavia, il detto che “un cognome non vive da nessuna parte”, “Sànt dekkul fenn”, sembra
    interrompere l’ordine tradizionale delle cose; suggerisce che al giorno d’oggi il cognome di una
    persona non è più una prova sufficiente della propria ascendenza (Dial 2008; Gilbert, 2017)

Fatima Samb

Fatima Samb ragazza senegalese, ha svolto il tirocinio nei principali ospedali milanesi come la Mangiagalli, la Macedonio Melloni. Durante questa esperienza ha seguito le donne nelle diverse situazioni comprese le violenze e la mancata integrazione pubblichiamo qui , su sua autorizzazione parti della Tesi di laurea.

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