L’imperialismo dell’Europa Occidentale ad Est

Diwp

Feb 28, 2025 #Est Europa, #Europa, #politica

L’affermazione progressiva della destra in Germania, in particolare nei territori della ex DDR, e la possibile ascesa di Tisza in Ungheria sono segnali di un mutamento politico significativo in Europa centrale e orientale. Questo fenomeno non si limita a un mero spostamento elettorale, ma rappresenta il sintomo di una più ampia crisi di identità e fiducia verso l’Occidente.

L’emergere di Tisza come forza politica in Ungheria è emblematico. Sebbene Péter Magyar non si opponga ai principi di illiberalismo, nazionalismo e sovranismo che hanno caratterizzato il lungo governo di Viktor Orbán, la sua battaglia principale è contro quello che definisce “stato mafioso”. La sua iniziale visione di Tisza come “terza forza” sul modello di “Polska 2050” di Szymon Hołownia in Polonia si è evoluta, guadagnando elementi di conservatorismo sociale e patriottismo liberale, il tutto incorniciato in un chiaro europeismo. In tal senso, Tisza si presenta come una versione rinnovata e “onesta” di Fidesz, quella delle origini, prima della svolta autoritaria di Orbán.

Il successo crescente di Tisza nelle elezioni europee e nei sondaggi suggerisce un profondo malcontento all’interno della società ungherese, che cerca un’alternativa tra il nazionalismo radicale di Orbán e il progressismo pro-europeo delle forze di opposizione tradizionali. L’Ungheria, come molte altre nazioni dell’Europa orientale, si trova in una condizione di tensione tra la sua identità nazionale e la necessità di integrazione europea.

Ma se osserviamo l’intero scenario dell’Europa orientale, dobbiamo chiederci: di chi è la responsabilità di questa crescente disaffezione verso l’Occidente? La risposta, se vogliamo essere onesti, risiede proprio nell’atteggiamento delle potenze occidentali dopo il 1989. Invece di accogliere i popoli dell’Est come fratelli ritrovati, l’Occidente ha agito da colonizzatore, trattando queste nazioni come mercati da sfruttare e territori da spartire.

Dopo la caduta del muro di Berlino, molti Stati dell’Est hanno sperato in un’integrazione paritaria con l’Europa occidentale, ma si sono ritrovati invece a essere periferie economiche e politiche. Questi Paesi, che per decenni avevano vissuto sotto regimi che enfatizzavano il patriottismo – spesso più che il comunismo in senso stretto – si sono sentiti traditi. Non erano più considerati fratelli, ma piuttosto strumenti della geopolitica occidentale.

L’Occidente, con le sue radici profondamente nazionaliste e imperialiste, non ha mai condiviso il concetto di stato sovranazionale che invece era una realtà per molti Paesi dell’Est, nati da entità come l’Impero Austro-Ungarico, l’Impero Ottomano e quello Russo. Queste nazioni avevano una percezione dell’appartenenza differente, più fluida e meno rigida rispetto alla visione occidentale, basata sulla supremazia di stati-nazione fortemente delimitati.

Oggi l’Europa orientale, dopo decenni di disillusione, sta riscoprendo il valore della propria sovranità. Da qui nasce l’ascesa di forze politiche che esaltano il patriottismo e il conservatorismo sociale, non perché siano naturalmente inclini all’autoritarismo, ma perché vedono in essi una forma di protezione dalla continua marginalizzazione imposta dall’Occidente.

Un caso emblematico è il recente successo elettorale di Georgescu in Romania, che rappresenta un chiaro segnale della volontà del Paese di riaffermare la propria indipendenza politica e culturale. La sua vittoria dimostra come l’elettorato rumeno sia sempre più incline a sostenere leader che pongano la sovranità nazionale al centro del loro programma, sfidando l’influenza occidentale che spesso ha trattato la Romania come un Paese di secondo piano. Georgescu ha saputo intercettare questo sentimento, proponendosi come un leader capace di difendere gli interessi nazionali senza rinunciare alla cooperazione europea.

Il caso romeno riflette un trend più ampio che sta interessando tutta l’Europa orientale. La crescita di movimenti politici con una forte impronta sovranista non nasce da un semplice rigetto delle istituzioni europee, ma piuttosto da una richiesta di rispetto e considerazione che finora è sembrata mancare. La Romania, come altri Paesi dell’Est, vuole un’Europa in cui la propria voce conti davvero, senza subire imposizioni dall’alto. Questo processo sarà cruciale nei prossimi anni e determinerà il futuro equilibrio politico dell’intero continente.

La prossima vittima di questa politica occidentale sarà l’Ucraina. La narrativa dell’integrazione europea ha reso Kiev una pedina nel gioco delle potenze, ma senza garantirle un futuro stabile e indipendente. La guerra in corso non è solo un conflitto territoriale, ma anche uno scontro tra due visioni del mondo: da una parte, l’idea di un’Ucraina completamente occidentalizzata, dall’altra, il rischio che, delusa dall’Occidente, si rifugi anch’essa in una forma di nazionalismo difensivo.

Come occidentali, dovremmo interrogarci su questo processo e assumerci la responsabilità degli errori commessi. L’Europa dell’Est non è un territorio da amministrare, ma una realtà complessa con una propria storia e sensibilità. Capire le ragioni della sua svolta politica non significa giustificare ogni scelta, ma riconoscere il diritto di queste nazioni a definire il proprio destino.

Marco Baratto

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