Il caso della Siria e del Libano offre un esempio emblematico delle conseguenze durature delle decisioni prese dalle potenze imperiali durante e dopo la Prima Guerra Mondiale. L’Accordo Sykes-Picot del 1916, un’intesa segreta tra Gran Bretagna e Francia con il consenso della Russia, era finalizzato a ridisegnare le mappe politiche del Medio Oriente, suddividendo l’Impero Ottomano in sfere di influenza. Sebbene sembri che queste deliberazioni avessero come obiettivo una stabilizzazione temporanea della regione, gli effetti a lungo termine di tali scelte continuano a farsi sentire, contribuendo a instabilità, conflitti e sfide geopolitiche che caratterizzano il Medio Oriente contemporaneo.
Per comprendere appieno le dinamiche attuali in Siria e Libano, è necessario contestualizzare la storia dell’Accordo Sykes-Picot. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano, le potenze europee si trovarono di fronte alla necessità di definire nuovi confini e influenze nella regione. Questo accordo, che tracciava linee artificiali attraverso territori storici e culturali, ignorò le identità etniche e religiose locali. La creazione di stati-nazione basati su criteri coloniali ha alimentato divisioni e tensioni intrinseche, sebbene l’obiettivo fosse quello di garantire una gestione più efficace delle risorse e delle popolazioni.
Gli effetti di Sykes-Picot si sono manifestati chiaramente nel XX secolo, con conflitti civili, guerre interstatali e l’emergere di movimenti estremisti. La frammentazione della Siria in diverse fazioni, ciascuna sostenuta da diversi attori esterni, è una diretta conseguenza della mancanza di una visione inclusiva e della volontà di riconoscere le diversità culturali e religiose. Parallelamente, in Libano, le tensioni tra comunità religiose diverse hanno portato a una guerra civile devastante negli anni ’70 e ’80, un conflitto che evidenziò la fragilità della costruzione statale imposta dall’esterno.
Oggi, il Medio Oriente è nuovamente in fiamme, con attori regionali e globali che cercano di ridefinire le loro influenze. Iran, Turchia e Russia sono al tavolo di una nuova spartizione del Medio Oriente, un processo che ricorda il clima post-Prima Guerra Mondiale ma intriso di un contesto geopolitico completamente differente. La caduta del regime di Assad è un evento emblematico che segna la continua erosione dell’ordine post-coloniale stabilito dai poteri imperiali.
La Turchia, sotto la guida di Erdogan, sta cercando di espandere la propria influenza nei Balcani e nel Medio Oriente, sostenendo vari gruppi e movimenti che si oppongono a Damasco. Allo stesso tempo, la Russia ha consolidato la propria posizione attraverso interventi militari e alleanze strategiche, riscrivendo le regole del gioco nella regione. L’Iran, dal canto suo, continua a esercitare la sua influenza tramite gruppi paramilitari e una rete di alleanze consolidate, mirando a formare una “mezzaluna sciita” che abbracci parti significative del Medio Oriente.
Questa nuova realtà geopolitica suggerisce che il tavolo delineato dall’Accordo Sykes-Picot del 1916 sia ormai destinato a crollare, non solo a causa degli equilibri di potere attuali ma anche per l’accresciuta consapevolezza regionale delle identità nazionali e culturali. Le fratture sociali e politiche create dai confini artificiali possono ora essere riempite da forze locali, evidenziando l’incapacità dell’Occidente di comprendere appieno le dinamiche interne della regione.
Un altro aspetto cruciale da considerare è il totale disinteresse americano nei confronti della situazione in Siria, che sembra anche riflettersi nelle politiche del governo statunitense verso il Medio Oriente nel complesso. Con l’emergere degli Accordi di Abramo, gli Stati Uniti stanno cercando di dare nuovo vigore a una strategia che promuove la normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni stati arabi. Questa iniziativa, pur se vista come un passo verso la stabilizzazione della regione, mette in evidenza la volontà americana di non implicarsi direttamente nei conflitti locali, ma piuttosto di incoraggiare accordi che possano frenare l’egemonia turca, russa e iraniana.
La dottrina Trump, ora sempre più evidente, tenta di evitare l’impegno militare diretto, prediligendo strategie diplomatiche e economiche. Tuttavia, una tale impostazione presenta rischi significativi: le fragilità già esistenti possono essere amplificate da conflitti di interessi e rivendicazioni territoriali che non possono essere facilmente risolte.
ll caso della Siria e del Libano serve come un monito delle conseguenze a lungo termine delle decisioni imperialiste. La memoria storica dell’Accordo Sykes-Picot e il suo impatto sulle identità nazionali odierne rimangono un elemento fondamentale per comprendere le attuali tensioni regionali. Mentre i nuovi attori emergono sulla scena geopolitica, l’inevitabilità del cambiamento richiede un riesame profondo delle politiche internazionali e delle strategie di ingaggio nel Medio Oriente.
Le rivalità storiche e le divisioni interne continueranno a plasmare il futuro della regione, mentre l’intervento delle potenze globali si dimostra sempre più complesso. Riconoscere e affrontare l’eredità delle decisioni imperiali è essenziale per costruire un futuro più stabile e pacifico, non solo per la Siria e il Libano, ma per l’intero Medio Oriente.
Marco Baratto