Seconda analisi sui papabili: il Cardinale Pietro Parolin

Diwp

Apr 27, 2025

Uno dei nomi maggiormente quotati, mi si passi il termine, è quello del cardinale Pietro Parolin. Attuale Segretario di Stato, Parolin rappresenta una figura capace di unire diverse anime della Chiesa, grazie a un approccio moderato e a una lunga esperienza diplomatica.

Un segnale importante della sua apertura si trova nelle sue dichiarazioni su un tema sensibile come il celibato ecclesiastico. «Il celibato – afferma Parolin – non è un dogma della Chiesa» e, di conseguenza, «può essere discusso perché è una tradizione ecclesiastica». Parole che hanno destato una certa sorpresa, soprattutto perché pronunciate da chi occupa il secondo posto più importante nella gerarchia vaticana. Il Cardinale precisa però che «si tratta di una tradizione che risale ai primi secoli. Da allora si applicò durante tutto il primo Millennio», sottolineando che «a partire dal Concilio di Trento si insistette molto sulla sua applicazione». Oggi, spiega, questa tradizione si è consolidata ed è divenuta parte integrante della comprensione della «rivelazione».

Dunque, secondo Parolin, lo sforzo della Chiesa per istituzionalizzare il celibato non può essere liquidato con superficialità: «Non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato». Per questo motivo il tema del celibato si configura come una «grande sfida per il Papa», chiamato a mantenere il delicato equilibrio tra tradizione e riforma, senza intaccare l’unità della Chiesa. Parolin ricorda che «è possibile parlare e riflettere su quei temi che non sono definiti dalla fede» e che «alcune modifiche possono essere pensate, però sempre al servizio dell’unità e secondo la volontà di Dio». Fra i segnali che rendono necessaria una riflessione in tal senso, il Cardinale cita anche la crescente «scarsità del clero».

Oltre alla visione teologica, un altro punto forte del Cardinale Parolin è l’esperienza diplomatica, maturata in decenni di servizio. Oggi vi è un’esigenza sempre più avvertita di tornare alla vecchia diplomazia vaticana, quella fatta di lavoro sotterraneo, silenzioso, ma estremamente efficace. La diplomazia, si sa, è carsica per natura: quello che appare in superficie, nelle foto ufficiali o nei comunicati, raramente coincide con il vero stato delle cose. In questo gioco complesso e raffinato, Parolin si muove con grande abilità.

Particolarmente significativa è stata la sua gestione del dossier cinese. Gli 8-16 milioni di cattolici cinesi rappresentano una risorsa fondamentale per la Chiesa, ed è proprio Parolin che ha guidato i negoziati che hanno portato a un accordo provvisorio con Pechino sulla nomina dei vescovi. Un risultato non definitivo, ma già importante, che segue il modello dell’intesa firmata con il Vietnam.

Proprio di recente, infatti, il Vaticano ha raggiunto un accordo diplomatico storico con Hanoi, grazie anche al paziente lavoro del Cardinale Parolin. Questa strategia potrebbe essere replicata con la Cina, anche se comporterebbe il sacrificio dei rapporti ufficiali con Taipei: una scelta che, nei fatti, è già avvenuta, visto che da anni la Santa Sede mantiene a Taiwan soltanto un «Incaricato d’Affari» e non un vero e proprio Nunzio.

Inoltre, va rilevato come Parolin abbia gestito con attenzione anche le tensioni più recenti all’interno della Chiesa, come quelle suscitate dalla promulgazione della Fiducia supplicans, il documento che ha suscitato proteste tra i cattolici tradizionalisti e alcuni episcopati, in particolare in Africa. In quell’occasione, Parolin ha scelto di non entrare direttamente nella polemica, limitandosi a osservare che «c’è sempre stato il cambiamento nella Chiesa», ricordando che essa «è aperta e attenta ai segni dei tempi», ma «deve restare fedele al Vangelo». Una posizione di centro, verrebbe da dire usando un termine del politichese, che potrebbe favorirlo come figura di mediazione e punto di caduta tra opposte sensibilità all’interno del Collegio cardinalizio.

Dal punto di vista anagrafico, l’età del Cardinale Parolin (classe 1955) sarebbe perfetta per un pontificato di transizione. Un papato in grado di accompagnare la Chiesa verso nuove generazioni di leadership, ammorbidendo le tensioni attuali e chiudendo definitivamente l’epoca rappresentata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i cui cardinali, pur influenti, incarnano un mondo cattolico che oggi è molto cambiato, se non addirittura superato.

In definitiva, Parolin si presenta come una figura di equilibrio: fedele al Vangelo, ma aperta ai segni dei tempi; radicato nella tradizione, ma pragmatico di fronte ai nuovi scenari geopolitici; uomo di diplomazia sottile, ma anche pastore consapevole delle sfide ecclesiali contemporanee. Per tutte queste ragioni, il suo nome resta tra i più seriamente papabili per il prossimo conclave.

Marco Baratto

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