L’esclusione di Georgescu , dimostra la sua funzionalità a congelare le istituzioni di una Nazioni chiave per la Pace in Ucraina
Negli ultimi mesi, la Romania ha vissuto una delle crisi politiche più complesse della sua storia recente, con un’instabilità istituzionale che sembra essere stata tollerata e persino favorita nell’ambito delle trattative geopolitiche tra Stati Uniti e Russia. La cancellazione delle elezioni presidenziali dello scorso dicembre ha inasprito le tensioni con Washington, con il vicepresidente americano JD Vance che ha espresso dure critiche, sostenendo che non si possono condividere “valori comuni” con chi “annulla le elezioni perché non gradisce il risultato”.
Ad aggiungere ulteriore pressione, Elon Musk, consigliere del presidente Donald Trump, ha definito il presidente della Corte Costituzionale della Romania “un tiranno, non un giudice”. Queste dichiarazioni, sebbene apparentemente isolate, sembrano inserirsi in un quadro più ampio, in cui la Romania diviene una pedina chiave nel negoziato tra Stati Uniti e Russia per la pace in Ucraina.
Un aspetto fondamentale della crisi politica romena è stato il ruolo dell’ex presidente Klaus Iohannis, il quale, non potendo partecipare alle elezioni del 2024 dopo aver completato due mandati, aveva inizialmente dichiarato la sua intenzione di rimanere in carica fino all’elezione del suo successore. Tuttavia, con un colpo di scena, Iohannis si è dimesso senza fornire spiegazioni concrete, sollevando interrogativi sulle reali motivazioni dietro la crisi istituzionale.
Questo stallo può essere letto come un elemento strategico nella trattativa sulla guerra in Ucraina. La Romania, essendo il principale snodo per le forniture di armi NATO all’Ucraina, è un tassello cruciale nei rapporti tra Occidente e Mosca. Un’interruzione temporanea della stabilità istituzionale può servire a rallentare questo flusso, inviando segnali sia a Kiev sia al Cremlino. Per Washington, infatti, bloccare gli aiuti militari significa dimostrare alla leadership ucraina che il supporto non è incondizionato, mentre per Mosca può rappresentare un incentivo ad aprire il dialogo diplomatico.
In questo contesto, è chiaro che la stabilità politica romena sia stata volutamente compromessa per consentire lo sviluppo delle trattative di pace. La figura di Georgescu, inizialmente centrale nella crisi, è progressivamente divenuta marginale, segnale che il suo ruolo era strumentale a una fase transitoria. Ora la responsabilità di ristabilire l’equilibrio spetta ai principali partiti romeni: il Partito Social Democratico (PSD), il Partito Nazionale Liberale (PNL) e l’Unione Democratica Magiara di Romania (UDMR). Tra questi, il PSD appare come l’interlocutore privilegiato per Washington, una scelta che riflette la necessità di garantire una gestione politica stabile e prevedibile.
Già il 27 febbraio sostenevo che l’instabilità politica della Romania fosse un “male necessario” per facilitare le trattative di pace. Essendo il bastione orientale della NATO e il punto di snodo per i rifornimenti militari verso l’Ucraina, la Romania si trovava in una posizione strategica che andava temporaneamente congelata per consentire l’apertura di un dialogo con la Russia. Per quanto drammatico possa sembrare, talvolta è necessario che una nazione e le sue istituzioni entrino in una fase di stallo per agevolare negoziati che altrimenti sarebbero stati impossibili.
L’adozione di un presidente ad interim è stata la soluzione migliore per garantire un periodo di transizione, evitando che venisse eletto un candidato eccessivamente schierato su posizioni fortemente pro-NATO o, al contrario, incline a un riavvicinamento con Mosca. Ora, indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni, l’obiettivo strategico è stato raggiunto: la Romania ha svolto il suo ruolo nel processo di negoziazione, fungendo da leva politica in un contesto di equilibri globali più ampi.