La Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha intrapreso un’azione legale contro Apple, accusando il colosso tecnologico di utilizzare “minerali da conflitto” lungo la propria filiera produttiva. Questi minerali, saccheggiati nel nord-est del paese da gruppi armati, alimentano violenze, devastazioni ambientali e violazioni dei diritti umani, finanziando milizie che si avvalgono di lavoro minorile e altre pratiche disumane.
L’azione legale rappresenta un passo significativo per la RDC, che tenta di difendere le proprie risorse naturali dalla depredazione e riaffermare il proprio diritto sovrano su un patrimonio fondamentale. Il governo congolese accusa Apple di impiegare minerali saccheggiati – tantalio, tungsteno e stagno – e di riciclare tali risorse attraverso catene di approvvigionamento internazionali. Questi materiali, noti come “3T”, sono essenziali per la produzione di batterie e, quindi, per la transizione energetica globale.
Nonostante le domande poste ad aprile all’amministratore delegato Tim Cook e il rapporto dettagliato sui traffici illeciti, Apple non ha fornito risposte sostanziali. Al contrario, l’azienda ha dichiarato di aver rimosso alcuni fornitori non conformi e ha negato il coinvolgimento diretto o indiretto nel finanziamento di gruppi armati. Tuttavia, la RDC sostiene che la portata e la durata di queste pratiche hanno causato danni enormi alla popolazione civile, perpetuando un ciclo di violenza.
Il nodo delle responsabilità regionali
La denuncia del governo congolese getta luce anche sul ruolo del Rwanda, accusato di riciclare i minerali saccheggiati attraverso reti di contrabbando. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite e dell’European Network Against Crime and Terrorism (ENACT), Kigali sarebbe il principale beneficiario del traffico illecito, con il supporto diretto alle milizie come l’M23, responsabile di offensive sanguinose nel Nord Kivu.
Questa situazione mette in evidenza l’inefficacia di iniziative private come la Tin Supply Chain Initiative (ITSCI), che doveva garantire la tracciabilità dei minerali, ma è stata definita da Global Witness una “lavatrice” per risorse sporche. Il saccheggio e il contrabbando delle 3T sono un esempio lampante di come le risorse africane vengano sfruttate a scapito delle popolazioni locali, alimentando conflitti anziché sviluppo.
Un nuovo paradigma di giustizia africana
La decisione della RDC di intraprendere un’azione legale rappresenta non solo una difesa delle proprie risorse, ma un atto di affermazione della giustizia africana. Per decenni, il continente è stato vittima di sfruttamento sistematico, con risorse preziose che finivano per arricchire multinazionali straniere e perpetuare la povertà locale. Ora, con un’azione legale ben orchestrata e un team di avvocati internazionali, Kinshasa lancia un segnale chiaro: l’Africa non resterà più in silenzio di fronte a tali abusi.
Questo caso potrebbe rappresentare un precedente importante nella lotta per la sovranità africana sulle proprie risorse. Se la RDC riuscirà a ottenere giustizia, altre nazioni potrebbero seguire l’esempio, sfidando multinazionali e sistemi internazionali che hanno storicamente favorito l’estrazione incontrollata e l’impunità.
Un futuro ancora incerto
Il conflitto nel nord-est della RDC continua a peggiorare, ostacolando una soluzione politica. I negoziati tra Kinshasa e Kigali, mediati dall’Angola, sono falliti, alimentando ulteriormente la tensione. Tuttavia, il coraggio del governo congolese nell’affrontare attori globali come Apple potrebbe segnare una svolta. Questa mossa non riguarda solo lo sfruttamento dei minerali, ma è una dichiarazione di indipendenza e di autodeterminazione per l’intero continente.
Marco Baratto