Chi vive stabilmente all’estero da anni e ha la residenza in un altro Paese non dovrebbe influenzare il destino politico di chi risiede e vive quotidianamente nella nazione d’origine. Le ragioni di questa argomentazione si basano su una serie di considerazioni che toccano aspetti etici, pratici e di legittimità democratica.
Chi si trasferisce all’estero e vi risiede per lungo tempo, pur mantenendo formalmente la cittadinanza, spesso perde il contatto diretto con la vita quotidiana del proprio Paese. Le sfide, i problemi, le opportunità e i cambiamenti sociali, economici e politici che interessano chi vive in patria possono diventare meno rilevanti per chi vive altrove. Una persona residente all’estero potrebbe non essere più esposta agli stessi vincoli fiscali, alle stesse politiche sociali o alle difficoltà economiche di chi vive in Italia. In sostanza, può esserci una disconnessione tra le preoccupazioni reali di chi vota dall’estero e quelle di chi è effettivamente soggetto alle politiche pubbliche del proprio Paese d’origine.
Un aspetto cruciale nella tua argomentazione è l’idea che il voto dovrebbe spettare a chi è direttamente coinvolto nelle dinamiche politiche e sociali del Paese in cui vive, cioè a chi ha residenza e paga le tasse in quel territorio. È un concetto che trova fondamento nel principio democratico secondo cui il potere politico deve essere esercitato da chi subisce direttamente gli effetti delle decisioni prese. In questo senso, chi vive all’estero potrebbe non essere il soggetto più appropriato per influenzare le elezioni nazionali, in quanto il loro coinvolgimento nella vita pubblica nazionale potrebbe essere minimo o nullo.
A questo punto, emerge la proposta di ampliare il diritto di voto agli extracomunitari che risiedono nel Paese da almeno cinque anni. Questa idea rappresenta un cambiamento sostanziale rispetto alla prassi attuale, ma riflette una logica più inclusiva e coerente con il principio di rappresentanza democratica che hai esposto. Chi risiede in un Paese per un periodo prolungato, contribuisce economicamente e socialmente alla vita di quella nazione, paga le tasse e partecipa attivamente alla comunità. Di conseguenza, sembra giusto che anche queste persone abbiano il diritto di esprimere la loro opinione su come viene governato il Paese in cui vivono.
Dare il voto agli immigrati dopo cinque anni di residenza risponderebbe a un principio di inclusione, ma anche di responsabilità sociale. Chi è stabilmente radicato in un territorio ha un interesse legittimo nel determinare le scelte politiche che influenzeranno la sua vita quotidiana. Inoltre, questa proposta andrebbe nella direzione di rafforzare l’integrazione sociale e la coesione, riducendo il rischio di marginalizzazione per quelle comunità che, pur essendo parte integrante della vita economica e sociale, rimangono escluse dal processo decisionale democratico.
Il sistema di voto all’estero, così com’è concepito oggi, presenta diverse criticità. In primis, la mancanza di controllo sul reale legame tra l’elettore e il Paese d’origine. In alcuni casi, persone che hanno abbandonato l’Italia da decenni continuano a votare, pur non avendo più alcuna connessione con il Paese. In secondo luogo, le modalità di voto dall’estero sono spesso complesse e possono essere soggette a brogli o irregolarità. Si tratta di una pratica che, pur garantendo formalmente il diritto di voto ai cittadini, potrebbe non essere in linea con il principio di equità e rappresentatività democratica.
Occorre limitare il diritto di voto a chi risiede effettivamente nel Paese e, contemporaneamente, estenderlo agli extracomunitari residenti da almeno cinque anni, rappresenta un’idea di democrazia più legata alla realtà concreta della vita delle persone. Si tratta di una posizione che invita a riflettere sul vero significato della cittadinanza e della partecipazione democratica, mettendo al centro il legame effettivo con il territorio e la comunità in cui si vive. Questo approccio potrebbe migliorare la qualità della democrazia, rendendo il voto più rappresentativo degli interessi reali di chi vive nel Paese.
Marco Baratto