Sono Matteo Dendena, nipote di Pietro Dendena, vittima della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. La sua vita non è facile, non ha vissuto un’infanzia che possa essere definita tale e a ciò si aggiunge l’esperienza della deportazione in un campo di concentramento a soli diciotto anni durante la Seconda guerra mondiale. Pietro nel 1969 ha 45 anni, è un commerciante di bestiame e per lavoro ogni venerdì pomeriggio si reca a Milano, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, dove ogni venerdì pomeriggio la Banca resta aperta oltre il tradizionale orario di chiusura per
permettere lo svolgimento delle trattative del mercato agricolo provinciale. Pietro, quel 12 dicembre, incontrò la morte come atroce destino di una storia che si è poi protratta fino al 2005, con le sentenze di assoluzione degli imputati, il riconoscimento di colpevoli non più processabili e la condanna delle parti civili al pagamento delle spese processuali, con i famigliari condannati a scontare un “ergastolo” per la colpa di essere vittime.
“Eravamo ragazzi che volevano ottenere giustizia e che, quando a Catanzaro un giudice ci chiese come mai fossimo lì presenti così giovani, rispondemmo: “abbiamo fatto 1200 km perché crediamo nella giustizia e vogliamo che giustizia sia fatta. Qualcuno il 12 dicembre 1969 decise che noi diventassimo orfani. A tutto questo si è sommata negli anni la sensazione di essere stati condannati ad un ergastolo per la colpa di essere vittime: una colpa di pretendere prima e chiedere poi invano giustizia, una colpa di presenziare ai processi che si tenevano dall’altra parte dell’Italia; una colpa di non volerci arrendere. Nonostante tutto, ancora oggi crediamo nella giustizia, nei suoi valori e nei suoi principi e portiamo la nostra testimonianza alle nuove generazioni, rendendo pubblici il nostro dolore e la nostra storia, nella speranza, un giorno, di poter avere anche … qualcuno da perdonare; se qualcuno è Stato ditecelo ma
fermiamo questa scia di sangue”.
È da queste frasi che possiamo riassumere il significato profondo che la strage di Piazza Fontana ha ancora oggi. Queste parole furono pronunciate da mio padre Paolo Dendena e da mia zia Francesca Dendena e risalgono al 1976, durante una delle tante udienze dei processi che si tennero dall’altra parte dell’Italia per la strage di Piazza Fontana, Milano, Banca Nazionale dell’Agricoltura, 12 dicembre 1969. Paolo e Francesca persero il padre Pietro in questo attentato terroristico.
Una storia di cui sappiamo tanto, di cui hanno sentito parlare tutti, di cui forse si è discusso troppo, in tutte le possibili sfaccettature e da tanti punti di vista.
I tanti anni trascorsi hanno visto, e vedono ancora oggi, la pubblicazione di moltissimi libri che hanno ricostruito la storia di Piazza Fontana dal punto di vista giuridico, giornalistico, storico. Tanti libri, il cui elenco è molto lungo e difficoltoso da sintetizzare ma che hanno avuto il merito ed onere di discernere particolari poco noti all’opinione pubblica, di descrivere le difficoltà giuridiche amplificate dalle divisioni sociali, di fornire punti di vista e retroscena inediti sul contesto di escalation di violenza sociale che ha condizionato l’anno 1969, di discutere della storia di Piazza Fontana attraverso la ricostruzione giuridica degli eventi, addirittura di fornire informazioni poco conosciute sulle vittime e sulla loro posizione al momento della deflagrazione attraverso studi di medicina legale sulle autopsie.
Eppure, per tanti anni non è stato raccontato il punto di vista INEDITO DI UNA STORIA DI CUI SAPPIAMO
TUTTO, ovvero quello dei famigliari delle vittime impegnati nella battaglia civile per ottenere giustizia e verità, di coloro che si sono trovati catapultati dall’oggi al domani in una vicenda complessa che ha sconvolto le loro vite in maniera improvvisa e drammatica, esistenze “marchiate” negli anni dall’essere vittime del terrorismo e che, ancora oggi, portano avanti un percorso instancabile di testimoni della memoria e della storia per favorire il passaggio del testimone della memoria alle nuove generazioni.
Il valore civile e morale della testimonianza di un famigliare diretto di una vittima del terrorismo fornisce infatti una prospettiva di lettura totalmente differente ed inedita sulla storia di Piazza Fontana, perché permette a chi legge o ascolta di immedesimarsi in questa storia di viverla con il cuore, in una dimensione più profonda rispetto all’analisi storica distaccata, analitica e senza coinvolgimento emotivo; perché questa storia è eroica dal punto di vista civile e non mediatico e proprio per questo unica nel raccontare cosa ha davvero rappresentato Piazza Fontana per il nostro Paese.
Conoscere il lato umano ed emotivo di questa vicenda consente invece di potersi immedesimare nelle vite, nelle emozioni, nelle difficoltà avute dai famigliari delle vittime e consente di identificarsi con queste storie, di farle proprie e di poter quindi avere maggiore consapevolezza di cosa Piazza Fontana abbia rappresentato per il nostro Paese e quali conseguenze abbia avuto.
Questi gli obiettivi che mi hanno portato alla redazione, senza scopo di lucro, dei libri “A 50 anni da piazza fontana: ora che ricordo ancora. francesca dendena: storia e lascito di un eroe civile” / 50 Years Since the Piazza Fontana.
Bombing. Now that I Can Still Remember. Francesca Dendena: History and Legacy of a Civilian Hero»,
acquistabili (a prezzo simbolico di 1,79 euro per libro) su Amazon in formato e-books digitale.
Sulla storia della nostra famiglia ed attorno alla figura di Francesca Dendena (a cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dedicò la giornata della memoria del 9 maggio 2012) è stata prodotta la Docufiction “Io ricordo – Piazza Fontana”, che è andata in onda il 12 dicembre 2019 in prima serata su RAI 1 (Qui su raiplay https://www.raiplay.it/video/2019/12/io-ricordo-piazza-fontana-e73c3d66-7de0-4ce7-b7ad- 24fac321195a.html) in occasione del 50esimo anniversario della strage. Si tratta di “una coproduzione Rai Fiction- Aurora Tv, regia di Francesco Miccichè (regista delle recenti docufiction sul maxiprocesso e sul milite ignoto), che ricostruisce la lunga e complessa vicenda processuale che ha cercato di dare un nome ai mandanti e agli esecutori della strage attraverso il punto di vista di Francesca Dendena […] interpretata da Giovanna Mezzogiorno”.
Lo scorso 2 novembre 2020 a Francesca è stata conferita l’onorificenza della sepoltura illustre al Cimitero Monumentale di Milano (Famedio). Un particolare aneddoto sulla vicinanza emotiva e sull’esperienza di non ritorno affrontata da chiunque si approcci alla conoscenza della storia da questo punto di vista sono le parole di seguito riportate di Francesco Micciché:
La famiglia Dendena ci è stata molto vicina nella realizzazione del film ed ha partecipato con attenzione e
coinvolgimento, ma anche con grande rispetto, al nostro lavoro. Paolo, Pietro e Matteo (fratello, figlio e nipote di Francesca) hanno rilasciato delle toccanti interviste e ci hanno accompagnato, insieme ad altri familiari delle vittime, nelle varie fasi della lavorazione. Un giorno proprio a Lodi, durante una pausa delle riprese, c’è stato un momento emozionante quando Pietro, il figlio di Francesca, mi ha svelato che non riusciva a distogliere lo sguardo dai due giovani attori che interpretavano il ruolo di sua madre e suo padre.
Ho pensato fosse meglio rompere gli indugi e ho portato Pietro a conoscere meglio “i suoi genitori” ed è stato un dialogo toccante. Questo è un lavoro che ci mette di fronte anche a questi paradossi: mettiamo in scena la vita di persone che hanno sofferto e che si sono battute per la giustizia e in questo abbiamo una grande responsabilità. Ecco, credo che quello che abbiamo cercato di fare ancor più di altre volte, è stato avere rispetto e attenzione per coloro che hanno vissuto tragicamente in prima persona uno dei
momenti più bui della storia del nostro Paese”.
Abbiamo una verità storica; così Francesca Dendena si espresse al Quirinale il 9 maggio 2009 in occasione della Giornata della Memoria dedicata alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice,
Oggi conosciamo la verità storica di questi eventi: uccidevano innocenti cittadini per fermare la domanda pressante diprogresso e giustizia sociale, ferivano ed assassinavano per bloccare chi operava per la giustizia e per i diritti di tutti.
Ma oggi vorremmo che la nostra testimonianza possa trasformarsi in storia: conosciuta, divulgata, approfondita senza spirito di parte.
E dove ogni parte politica analizzi la propria storia per ciò che è stata, senza leggerla in contrapposizione con quella di altri.
Un percorso ineludibile se vogliamo che la memoria di quegli avvenimenti diventi coscienza civile di un popolo
Non si tratta solamente di mantenere e difendere la memoria ma di portare questo dovere civile ad un livello successivo;vogliamo aiutare le nuove generazioni ad acquisire consapevolezza sociale e civile, a non dare per scontati diritti e doveri derivanti dal vivere in uno (seppur con i propri limiti), Stato democratico e a forgiare quindi il nuovo tessuto civile di questo Paese. E in merito non sottovalutiamo mai la sete di conoscenza delle nuove generazioni, la loro curiosità nel momento in cui sono messi nelle condizioni di informarsi, le tante domande che pongono e i progetti di studio e racconto che molti di loro portano avanti con grande orgoglio e senso di appartenenza.
Attualizzare questo impegno nel contesto odierno per non dimenticare la nostra storia mantenendo sempre presente il fatto che il terrorismo è di fatto un fenomeno europeo (invito in merito alla lettura del libro per approfondire anche il nostro impegno internazionale con molte associazioni di vittime del terrorismo nell’ambito di comitati organizzati dalla
Commissione Europea) è nostro dovere civile.
È un grande obiettivo, per il quale sarà indispensabile uno sforzo coeso delle Istituzioni, degli enti scolastici e della società civile.
La memoria condivisa è un obiettivo; la MEMORIA CONDIVISA E PARTECIPATA È RESPONSABILITÀ
CIVILE DI UNA COMUNITÀ.
Matteo Dendena