Autocensura. Da George Orwell al “politicamente corretto”

Diwp

Ago 29, 2024

La censura è definita come il controllo esercitato dall’autorità pubblica sui mezzi di informazione, testi scritti, spettacoli, ecc., che limita la libertà di espressione e l’accesso all’informazione. L’obiettivo, dichiarato nella maggior parte dei casi, è legato alla supervisione, al controllo e al mantenimento dell’ordine sociale e politico, del clima religioso e della moralità nella società. Al contrario, l’autocensura è l’atto intenzionale e volontario di nascondere e omettere informazioni o commenti senza ostacoli, pressioni esterne o barriere formali.

L’autocensura non è dichiarata né visibile. Può essere ovunque. Non parlare e non fare rumore.

L’autocensura di… George Orwell

Nel modo di pensare di un intellettuale c’è un conflitto che caratterizza ogni uscita pubblica. Da un lato c’è il desiderio di esprimere la verità – anche sfidando le convenzioni esistenti nella società – e di portare alla luce ingiustizie, frodi o menzogne. D’altra parte, c’è la paura di essere ostracizzati post factum, di perdere il rispetto di colleghi e amici e di essere etichettati come eretici. È quello che è successo, ad esempio, a George Orwell – Eric Blair nel suo vero nome – dopo la pubblicazione del racconto distopico “La fattoria degli animali”, una critica pseudo-velata alla transizione in Unione Sovietica dalla rivoluzione alla rivoluzione. Periodo stalinista.

La comunità intellettuale britannica lo interpretò anche in un’altra chiave, considerandolo un affronto mascherato alla élite dominante, intellettuale e anche politica. Non si trattava più solo dell’Unione Sovietica e del regime di Mosca, ma di coloro che gestivano la società in generale, compresa quella britannica. Nessuno parlava di censura, ma il modo in cui si svolgevano le cose dimostrava che esisteva, ma era invisibile, insidiosa, silenziosa.

Le idee critiche nei confronti di Orwell si sono diffuse “spontaneamente”, senza organizzare una campagna al riguardo. Nell’ambiente delle penne e del mondo accademico britannico non si voleva l’amicizia di chi aveva preso la strada sbagliata, controcorrente. Inoltre, sebbene antistalinista, Orwell era una persona con idee di sinistra. La sinistra classica – secondo il “modello” di Panait Istrati – non quella filosovietica. Eppure si autocensurava, ma parzialmente, e i suoi detrattori non lo sapevano.

Nel 1971 venne ritrovata la prefazione da lui scritta per la prima edizione del libro, esclusa dallo stesso autore dal testo prima della pubblicazione. Cito solo un passaggio che evidenzia il fatto che lo “schema orwelliano” potrebbe essere applicato anche in alcuni stati occidentali. “In questo paese, la codardia intellettuale è il più grande nemico che uno scrittore possa avere, e non viene analizzata adeguatamente.”

La paura custodisce il frutteto… della verità

Conosco giornalisti occidentali – dei paesi in cui ho lavorato per periodi più lunghi, Francia, Italia, Spagna – che spesso non scrivono quello che pensano, non solo perché non sarebbe politicamente corretto, ma perché hanno effettivamente paura. Ho conosciuto anche ricercatori, medici, avvocati che credono – ad esempio – che esistano evidenti differenze biologiche tra donne e uomini. e il genere non è un costrutto sociale o culturale. Non lo dicono apertamente perché temono la reazione di chi sostiene il contrario. E che non sono pochi.

Anche alcuni importanti politici hanno paura di combattere direttamente le correnti di sinistra e post-comuniste, che spingono ad spalancare le porte agli immigrati che in numero crescente stanno prendendo d’assalto l’Europa. I risultati della ricerca in alcuni ambiti importanti ma delicati della storia – il colonialismo, le crociate, l’Inquisizione, l’imperialismo, perfino il comunismo – vengono presentati “con attenzione” e commentati in piccoli circoli, sottovoce. Tutte queste sono espressioni di autocensura “moderna”.

Se guardiamo oltre l’Atlantico, vediamo un intero processo di disfacimento di componenti importanti della cultura americana. La critica ad alcuni personaggi della storia degli Stati Uniti è diventata la bandiera di battaglia dei rappresentanti delle nuove correnti culturali. La loro palese intenzione è ora legata all’”esportazione” di idee di questo tipo, oltre oceano. Inoltre, seguendo l’esempio tratto dalla politica di alcuni governi, assistiamo ad un assedio dell’illiberalismo mediatico – che, in superficie, si presenta come superliberale e superdemocratico – al vecchio liberalismo della stampa. A poco a poco, gli assedianti propagano la loro nuova religione nelle istituzioni che garantiscono il pluralismo della cultura e delle opinioni.

Autocensura nella società

Durante il periodo del socialismo reale l’autocensura funzionava ovunque, anche in famiglia. Dopo l’89, regredì per un breve periodo per trasformarsi in “autocensura di tipo occidentale”, un meccanismo attraverso il quale i membri della società sono molto attenti nell’esprimere le proprie opinioni. Nel rigido contesto in cui viviamo non c’è quasi spazio per punti di vista intermedi, ed esprimere la tua opinione personale potrebbe etichettarti come membro del “gruppo nemico”. Si materializza qui la nozione di “pensiero di gruppo”, un fenomeno psicologico che – al di là di ogni ingrediente ideologico – appare quando il desiderio di armonia tra i membri di una comunità si avvicina al limite dell’irrazionale. Insomma, meglio non discutere che dire la pura verità…

In altre parole, l’autocensura, per come funziona, ci getta tra le braccia di quel “politicamente corretto” di cui sopra, privandoci dell’autenticità nella comunicazione e impedendoci di affrontare direttamente questioni importanti della nostra vita. Appare soprattutto quando i temi sono considerati “delicati”. Un esempio potrebbero essere i vaccini, poi le guerre, le preferenze politiche. Eufemisticamente parlando, l’affaire Dreyfus – che dimezzò la Francia all’inizio del secolo scorso – si è propagato, in varie forme e stati, fino ai giorni nostri.

Spesso la mancanza di maturità sociale e l’incapacità degli interlocutori di riconoscere i propri limiti vengono nascosti sotto l’etichetta di “questioni sensibili”. Qualunque sia la ragione, l’autocensura intorno a noi diventa un filtro sulla buona informazione facendoci perdere la capacità di identificare i problemi reali che si presentano nella nostra vita e nella comunità. Per non parlare delle soluzioni…

George Milosan

Diplomatico – Ministro Consigliere, con missioni estere in Italia, Francia e Argentina. Laureato presso l’Università della Transilvania di Brasov,  Studi post-laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bucarest (criminologia) e un master in “Studi Internazionali” presso la Società Italiana per le Organizzazioni Internazionali a Roma

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