Matrimonio e scelte procrative in Senegal


Come emerge chiaramente dalle interviste, il matrimonio rappresenta per la ragazza senegalese, la
via principale per il debutto in società e quindi l’inizio della fase adulta. Fino al momento in cui la
donna è nubile, per cui spesso vive obbligatoriamente a casa dei suoi genitori, è sotto la
responsabilità del padre.
Per questo motivo, i genitori della ragazza potrebbero costringerla a sposare un certo uomo
quando ottiene troppa attenzione maschile e quindi rischia di lasciare che qualcuno ‘arracher son
coeur’ (le rubi il cuore), il che significa, implicitamente, che temono che diventi sessualmente attiva
prima del matrimonio. (Gilbert, 2017)
Se la ragazza, oltre ad essere sessualmente attiva, dovesse rimanere gravida, la situazione si
complicherebbe ulteriormente, sia che decida di ricorrere all’interruzione di gravidanza perché
illegale, sia che decida di proseguire con la gravidanza, perché non socialmente accettato.
In Senegal, la prospettiva islamica è diventata inevitabile nei dibattiti sulla legalizzazione
dell’aborto. Il Codice penale adottato nel 1962 (art. 305) fa dell’aborto un reato passibile di
ammenda e di pena detentiva per le donne che vi hanno fatto ricorso e per coloro che lo hanno
procurato loro. Votata nel 2005, la legge sulla salute riproduttiva (art. 15) conferma questo divieto,
lasciando alle donne l’unica opzione l’aborto terapeutico, rigorosamente inquadrato dal codice
deontologico. (N’Diaye,2021)
Il bambino nato fuori dal matrimonio, cioè dalla fornicazione, è considerato come la “progenierifiuto”, l’ultima ruota del carro, l’essere con l’identità mancante, oggetto di un certo disprezzo. La
conoscenza delle sue origini, socialmente patologiche, autorizza chi ne sa qualcosa o ne è
informato a deriderlo. Preso di mira per essere il germoglio del male, il suo essere è così assimilato
all’impuro “puro”. In questa situazione, non solo la dignità della madre viene elusa, ma il bambino
che ha dato alla luce è, agli occhi del gruppo, l’equivalente del grande peccato. L’espressione wolof
per nominare questa creatura è abbastanza rivelatrice del suo posto all’interno della collettività. È
un “doomu xaraam”, un “figlio del peccato”. (Ndiaye L., 2018)
A fronte di queste motivazioni, diventa di vitale importanza, trovare al più presto uno sposo alla
propria figlia.
Tra i Wolof in particolare, la parentela è centrale per l’individuo. Di conseguenza, le decisioni
vengono prese in base a ciò che è meglio per tutta la comunità. L’anzianità viene rispettata, sulla
base del fatto che coloro che sono più anziani dovrebbero essere più saggi. Così, i genitori
supervisionano le scelte matrimoniali alla ricerca del meglio per la famiglia in particolare e la
comunità in generale, scegliendo spesso per la propria figlia un parente.
Il medesimo problema si pone di fronte ad un figlio, in quanto risulta imprescindibile scegliere una
‘buona moglie’, una moglie la cui volontà di prendersi cura dei suoceri come se fossero la propria
famiglia e avere figli è evidente. (Gilbert, 2017)

In molti paesi in via di sviluppo, la mancanza di mercati assicurativi e di reti di sicurezza sociale
viene mitigata dalla famiglia. Una vasta letteratura descrive l’uso della famiglia come assicurazione,
esaminando ad esempio la strategia di diversificazione del reddito familiare attraverso la
migrazione, o i bambini che agiscono come assicurazione di vecchiaia per i loro genitori.
Poiché circa il 95% della popolazione è musulmana, le pratiche ereditarie sono governate da leggi
patrilineari islamiche e consuetudinarie. Ciò significa che le mogli sono escluse da un lascito dopo
la morte del marito e l’eredità deve essere condivisa tra i figli, anche se nella realtà sono i figli
maschi che ereditano di più e più frequentemente delle figlie.
In Senegal, le donne sono molto esposte alla vedovanza, in particolare a causa della differenza di
età tra i coniugi: 10 anni in media, spesso molto di più. Nasce quindi un meccanismo di
assicurazione basato sulla famiglia, in cui le donne senegalesi si affidano ai figli come assicurazione
in caso di morte del coniuge, per far fronte alla rivalità tra mogli e figli per l’eredità.
Quando il marito ha già figli da mogli o ex mogli, il modo migliore della moglie attuale per garantire
l’accesso futuro alle sue risorse, in particolare la sua casa, è quello di avere un figlio maschio.
L’esistenza di figli di ex mogli (rivali) dovrebbe esacerbare la preferenza del figlio maschio e
intensificare la fertilità. Si osserva infatti che, quando ci sono rivali, avere solo ragazze contro avere
almeno un figlio moltiplica per 1,5 a 2 la probabilità di breve distanza di nascita (intervalli più brevi
di 24 mesi). In assenza di rivali, la composizione di genere delle prime nascite non influisce sugli
intervalli di nascita successivi. L’effetto è chiaramente evidenziato per le donne che convivono con
il marito, in particolare per la metà più povera della popolazione, giustificando il motivo per cui la
casa è l’interesse principale nel processo di lascito. (Lambert et al, 2016)
D’altro canto, la pressione dei mariti ad avere più figli può riflettere il valore attribuito ad una
progenie numerosa come segno di ricchezza (e capitale culturale) o come simbolo della mascolinità
del marito. (Sidibe et al, 2020)
Si riconosce che l’occupazione femminile svolge un ruolo importante nella variazione dei livelli di
fertilità. Di conseguenza, il rapporto tra attività economica femminile e fertilità è uno dei settori più
studiati nella ricerca sulla fertilità stessa. Le donne tradizionali favoriscono il ruolo della madre e
della moglie, con una conseguente famiglia numerosa a cui badare, mentre le donne moderne
favoriscono la vita professionale e hanno quindi maggiori probabilità di avere livelli di fertilità più
bassi. La prevalenza della contraccezione moderna è infatti maggiore nelle aree urbane, dove
l’offerta di servizi di pianificazione familiare è più diffusa.
Si presume che la partecipazione delle donne al mercato economico sia in contrasto con i loro
obblighi familiari, poiché le madri sono spesso le uniche responsabili dei compiti domestici. A
Dakar il lavoro delle donne al di fuori della sfera domestica si scontra con il modello tenace di una
netta separazione tra i ruoli del marito e della moglie e con l’ideale di una moglie finanziariamente
dipendente dal marito. Per questo motivo, le donne spesso lasciano il lavoro quando si sposano e
cercano lavoro quando divorziano. (Beguy, 2009)

Il principale problema non risiede nella decisione delle donne senegalesi di interrompere il lavoro
per il matrimonio o per i figli, bensì nell’affrontare numerose gravidanze in un breve lasso di
tempo.
Sebbene la maggior parte delle donne dopo il parto indichi il desiderio di ritardare la nascita
successiva, i metodi di pianificazione familiare spesso non vengono offerti alle donne dopo il parto
o nel primo anno successivo. Studi precedenti dall’Africa subsahariana dimostrano che la maggior
parte delle donne non ha una conoscenza adeguata del ritorno della fertilità dopo il parto, così
come i professionisti sanitari, dato che utilizzano la ripresa delle mestruazioni come parametro di
riferimento. La promozione della pianificazione familiare per ritardare il concepimento dopo una
nascita recente è una buona pratica che può portare a risultati ottimali per la salute materna e
infantile. In particolare, brevi intervalli tra una gravidanza e l’altra possono portare a risultati
negativi per la salute come l’anemia materna, il basso peso alla nascita e la mortalità neonatale/
infantile. Inoltre, intervalli di nascita brevi sono correlati con un minore allattamento al seno del
bambino prima della gravidanza successiva; ciò può avere implicazioni sulla salute del bambino e
sul legame madre-figlio. Pertanto, la promozione e l’uso di metodi contraccettivi per almeno due
anni dopo il parto impedirà gravidanze indesiderate e garantirà intervalli di nascita adeguati
(Speizer et al, 2015)
Il Senegal mostra in merito un approccio proattivo, grazie all’introduzione della pianificazione
familiare per le donne e i mariti nelle consultazioni pre- e postnatali. Il governo ha acquistato
prodotti contraccettivi dal bilancio nazionale, eliminandone i dazi d’importazione, ha aggiunto
prodotti per la pianificazione familiare al sistema formale di distribuzione dei farmaci, ha
armonizzato i prezzi dei prodotti per la pianificazione familiare in tutto il sistema di erogazione dei
servizi, ha introdotto misure per aumentare le scorte di contraccettivi e ha rafforzato le attività di
marketing sociale. Altre iniziative includono la fornitura di metodi di pianificazione familiare a
lungo termine nei punti di erogazione dei servizi e attraverso i servizi mobili, l’introduzione di
metodi contraccettivi a iniezione nei servizi di sensibilizzazione della comunità, l’estensione dei
servizi di pianificazione familiare alle comunità in 56 distretti, la promozione dell’educazione tra
pari per i giovani e la rimozione dell’obbligo per i mariti di autorizzare le loro mogli a ricevere
servizi di pianificazione familiare.
I livelli più elevati di istruzione delle donne sono associati a un maggiore uso di metodi
contraccettivi per la pianificazione familiare. Questa associazione è stata identificata in una miriade
di contesti. Ad esempio, in uno studio di contraccettivi del 2020, è emerso che le donne istruite
avevano maggiori probabilità di usare contraccettivi rispetto alle donne non istruite. Il metodo
contraccettivo più frequentemente utilizzato dalle donne in Senegal attualmente sono le iniezioni,
seguite da impianti. (Sidibe et al, 2020)
Maraboutage, medicina tradizionale e malocchio
Nella cultura senegalese si incontra una pluralità di attori della medicina tradizionale come gli
indovini, i guaritori (che curano facendo appello al culto degli antenati), i fitoterapisti e anche i
marabutti. Questi ultimi utilizzano i versetti coranici ai quali attribuiscono poteri terapeutici.
Molti dei guaritori senegalesi si sono stabiliti nella capitale da anni. Questi ultimi sono venuti dalla
Casamance (Diola, Mandinka, Soosé) dal Siin (Sereer), da Fouta e dal Senegal orientale. (Faye,2011)

In francese, la parola maraboutage è usata per descrivere l’intervento magico che un marabout
esegue attraverso incantesimi, preghiere o altre procedure esoteriche e mistiche, al fine di
soddisfare richieste multiple e varie per sé stessi o per conto di un altro individuo. Considerato il
fatto che implica esercitare un’influenza segreta sulla vita di qualcun altro, maraboutage ha una
connotazione in qualche modo negativa, anche se è in grado di produrre talvota risultati positivi.
Le conoscenze esoteriche islamiche praticate in Senegal (e in tutta l’Africa occidentale) includono la
creazione di amuleti e pozioni con testi coranici e con geomanzia araba, astrologia e numerologia,
nonché interpretazione dei sogni, sessioni di divinazione e preghiera e consigli sull’elemosina. Gli
amuleti, per lo più usati per protezione e successo, contengono versetti coranici; i quadranti
(turabu o Khatim) sono scritti su carta, cuciti in pelle e indossati sul corpo o collocati lì dove
dovrebbero proteggere. Le pozioni sono usate principalmente per la guarigione, la concessione di
un desiderio o l’eliminazione di un nemico. Sono fatte con l’inchiostro di versetti coranici lavati da
una tavola di legno o con l’immersione del foglio di carta che lo contiene. I versetti poi vengono
incorporati dall’individuo interessato bevendo la pozione o lavandosi con essa, a seconda delle
direzioni del marabout. Le stesse tecniche possono essere morali e approvate in un contesto ma
immorali e fuorilegge in un altro. (Gilbert, 2017)
Secondo i senegalesi è possibile che alcuni disturbi richiedano un trattamento biomedico (garabou
tubaab) e altri abbiano maggiori probabilità di essere curati con garab u Wolof (medicina
tradizionale). La maggior parte delle persone ricorre a terapie multiple, a volte
contemporaneamente. Questa strategia si chiama lambatu, cioè ‘provare tutto il possibile e andare
avanti e indietro tra una varietà di trattamenti e professionisti'(Gilbert, 2017)
Uno dei motivi per cui si potrebbe ricorrere alla medicina tradizionale è l’infertilità. Il ricorso alle
terapie tradizionali da parte delle donne che hanno difficoltà ad avere figli si giustifica con la
culturalizzazione della procreazione in Africa Nera: si prevede che una donna sposata possa avere
figli, perché gli permette di accedere allo status valorizzato di moglie e madre. Il ricorso alla
medicina tradizionale è legato alla rappresentazione sociale che fa dell’incapacità di procreare una
disgrazia attribuita o alla sorte lanciata dalle consorti o dai genitori, o al possesso della donna da
parte di spiriti malvagi che devono essere cacciati per esorcismo. (Faye,2011)
Più in generale, in Senegal si pensa che ogni male, ogni azione non andata a buon fine, ogni
malattia, ogni forma di stanchezza generalizzata e persino la morte, possano essere attribuiti allo
sguardo indiscreto e maligno del ngistéef (“malocchio”) e del waxtéef (“lingua cattiva”). Persone
temibili, il cui occhio o la lingua, vale a dire lo sguardo o la parola, malintenzionati possono
disturbare l’ordine “normale” dell’evoluzione della struttura corporea, agitandola, disorganizzando
il potenziale di salute dell’essere, impadrondosi della sua energia vitale (fit) e la distrugge per
uccidere la vittima “posseduta”. In questa prospettiva, il seguente adagio wolof è abbastanza
illuminante: “Lammiñ bu rayul semmal” (“La lingua, se non uccide, distrugge.”) (Ndiaye, 2018)

Secondo l’ECPSS (Enquête Continue sur la Prestation des Services de Soins de santé du Sénégal)
che analizza i dati del 2019, quasi otto strutture sanitarie su dieci (77%) forniscono servizi di CPN.
Questi servizi sono leggermente più diffusi negli ospedali (84%) rispetto ai centri sanitari (76%). Nel
settore pubblico, la disponibilità di questi servizi è pressoché totale (99%), mentre nel settore
privato è del 39%. La quasi totalità delle strutture che offrono servizi di CPN li fornisce cinque
giorni o più alla settimana (98%). (ANSD, 2020)
Tuttavia, l’ambiente culturale influisce significativamente sul ritardo alla prima consultazione
prenatale attraverso quattro elementi: la gravidanza inattesa, la gravidanza nascosta, l’ignoranza
dei rischi che possono insorgere nel primo trimestre e il fatto che le donne nascondino la loro
gravidanza sulla base di concetti mistici. Secondo le credenze locali, la donna incinta è considerata
vulnerabile nei primi tre mesi (Ndiaye et al, 2005). Questo spiega perché è spesso nascosta fino al
quarto mese per proteggere il feto da certi spiriti. Ciò contribuisce a ritardare la prima
consultazione, ostacolando così una buona gestione della gravidanza.
Le visite prenatali, oltre a monitorare il benessere materno-fetale, consentono alle donne di
familiarizzare con le strutture. Diversi studi hanno dimostrato il legame tra il numero di visite
prenatali e il luogo del parto. Le consultazioni irregolari sono anche responsabili del parto a
domicilio. Gli aspetti culturali hanno perciò un impatto significativo sul numero di consultazioni
effettuate durante la gravidanza e quindi sulla scelta del luogo del parto. (Faye et al, 2010)
Il malocchio in Africa è considerato antropofagia. Naturalmente, il pasto antropofagico non è certo
un pasto cannibalico reale, ma è dell’ordine del simbolico. Il bambino, così come la donna incinta,
sono prede predilette dal mago antropologico. Lo stesso si può dire del circonciso e della nuova
sposa perché costituiscono momenti di fragilità. Per questo motivo, culturalmente, si tiene
nascosta la gravidanza per quanto possibile e chi ne è a conoscenza non chiede come sta
evolvendo, ma aspetta!
Oumy Diodo Ly (psicologa), parla della forza distruttiva dell’occhio, della mano che tocca o della
parola, in particolare della punta perfida della lingua. Queste forze distruttive attaccano il soggetto,
lo rendono malato, pazzo, o provocano la sua morte o il suo fallimento sociale.
Tra i pericoli che minacciano la gravidanza, ci sono “lo sguardo invidioso” dell’altro e la “lingua
cattiva”, due elementi che stanno all’origine di diversi disturbi, come ad esempio l’aborto o la
psicosi puerperale. (Ba et al, 2018)
La discrezione è quindi una forma di protezione contro gli spiriti maligni, ai quali potrebbero
ricorrere, per gelosia, le altre mogli in ambiente poligamo. (Ndiaye et al, 2005).
La donna deve dimostrare una grande capacità di mantenere il segreto, che condivide solo con una
cerchia ristretta di familiari (marito, suocera, suocero o cognata se ha mai avuto figli). Questi ultimi,
consapevoli di tutti i pericoli che corre una donna incinta, la metteranno sotto la protezione degli
antenati.
Nei Wolofs, uno dei pericoli per le donne durante i primi mesi di gravidanza è il malocchio appunto,
o i jinn (spiriti maligni) che sono attratti dalle donne incinte. Per questo deve seguire un buon
numero di divieti e di direttive, altrimenti lei e suo figlio rischiano di essere portati via da questi

esseri invisibili che la sorvegliano di giorno e di notte. Quando una gravidanza si annuncia difficile,
alcune donne indossano un cordino con nodi attorno al ventre per proteggersi dalle complicazioni.
Questa deve essere rotta al momento del parto. Simbolicamente, questa rottura della corda evoca
la liberazione e quindi un parto che avverrà senza ostacoli.
Altrove, tra i Sérère ad esempio, al momento della gravidanza, la futura madre è protetta da un
rosario di radici e steli di alberi chiamato xif ngelen. Lo indossa a tracolla fino alla fine della
gravidanza, dove berrà una soluzione ottenuta dalle foglie di nebéday (Moringa) pressate con sale.
Secondo i Sérère, il mondo è popolato da spiriti invisibili (i Ciit), che si aggirano intorno alle
abitazioni e ai pozzi per cercare donne incinte. I Ciit o spiriti pre-fetali osservano le circostanze e i
luoghi favorevoli (cerimonie, foreste, pozzi, isolamento) per reincarnarsi nelle viscere della madre
scelta. Di solito attaccano di notte, quindi la donna incinta non deve uscire di casa di notte.
Da un’etnia all’altra, ritroviamo la stessa preoccupazione di purificazione dello spazio di parto e
ovunque nel Paese la gravidanza si svolge in tre fasi.
Nel primo trimestre, anche se alcuni la prendono in giro dicendole che mostra segni di una donna
in stato di gravidanza, deve negare fermamente e cercare di dissipare il dubbio. È comunemente
accettato di non annunciare la gravidanza in Senegal al fine di proteggere sé stessi e il bambino.
Non deve uscire durante determinate ore; è il caso verso le 14 e le 19. Si pensa che in questi
momenti, prima della chiamata alla preghiera, gli spiriti maligni escano per cacciare. Non deve
andare a un funerale, non deve frequentare donne sterili, non deve andare a trovare un neonato o
una donna che ha avuto un aborto spontaneo.
Nel secondo trimestre deve iniziare a osservare una serie di divieti alimentari come non bere
acqua fredda perché può aumentare le dimensioni della testa del bambino o mangiare anguria
perché altrimenti potrebbe perdere molta acqua al momento del parto. (Ngom, 2017)
Per comprendere le ragioni per cui si consiglia la consumazione moderata di alcuni alimenti
rispetto ad altri durante la gravidanza, è essenziale esaminare la dieta senegalese tipica.
Nelle società collettive come i villaggi senegalesi, il cibo, analogamente allo stile di vita, è collettivo.
I pasti vengono consumati in un unico piatto a terra, gli ospiti si siedono sul pavimento o su piccoli
sgabelli e mangiano con la mano destra o il cucchiaio. Il cibo residuo non viene mai riciclato o
conservato, ma presto offerto a famiglie più povere o visitatori fortuiti.
La cucina senegalese si distingue per la ricchezza di ricette e sapori, probabilmente legata anche
alla posizione geografica del territorio del Senegal al crocevia di culture (cultura araba subsahariana, cultura nera guineana) e sapori (mare ed entroterra, savana).
La dieta quotidiana tradizionale non è carente di calorie e proteine; tuttavia, soprattutto nelle zone
rurali e nelle aree più povere delle città, è meno varia, e forse anche meno ricca di nutrienti
essenziali. La frutta non fa parte del pasto tradizionale; inoltre, è relativamente costosa e
soprattutto consumata come succo in scatola. A colazione (Ndékki li), si mangia principalmente
pane (baguette francese) accompagnato da tonno (Pinton, un paté di sardine prodotto a Dakar),
formaggio importato (ad esempio, mozzarella e groviera), maionese (nella versione tradizionale o
bianca, fatta da Fulani con latte e senza uova) o margarina importata e cioccolato senegalese.
Questi alimenti sono disponibili in qualsiasi boutique (piccolo negozio, equivalente al negozio di

alimentari italiano di diversi anni fa), almeno nelle città. Si consumano anche panini con groviera,salse di manzo o frittata e, da qualche anno fa, marmellate di produzione senegalese. Il pranzo (Añ
bi) è il pasto principale e per molti senegalesi equivale a ceebu jén (riso con pesce) con la
variazione del colore (bianco o rosso, a seconda della presenza di pomodoro); il ceebu Jaga è come
ceebu jén ma accompagnato da una salsa di polpette di pesce e verdure. In alternativa, il riso viene
preparato con carne, come il ceebu Yapp (riso con agnello), il ceebu Ginaar (riso con pollo) e il
ceebü Géjii (riso con pesce secco e fagioli). Piatti più leggeri e più vari sono serviti per la cena (Reer
bi): carne, pollo o pesce e insalate, firir (triglia o orata), bulett (cernia palle di pesce) da mangiare
con pane, risotto (ceeb bou toy, come il daxinn, il mbaxall o il ceebu Tatu naar), couscous o pasta
(spaghetti o piccoli maccheroni) con salsa di carne e cipolle, la zuppa di gambe di bue o di montone
(souppou) e il tradizionale cérè, cioè il couscous senegalese a base di miglio che si consuma con un
sugo di carne e verdure. (Frazzoli, 2020)
Nel caso di una donna incinta, una jigéen diou weroul (letteralmente, una donna che non sta bene)
ciò che mangia è fisicamente e simbolicamente trasmesso al suo feto. Di un bambino che piange
molto, si dice che la madre deve aver mangiato troppo peperoncino e spezie, rendendo il suo
bambino irritabile o amaro, wekh, un aggettivo anche dato al gusto del peperoncino. Allo stesso
modo, un pesce chiamato yet, che è particolarmente gelatinoso, farebbe sbavare il suo bambino se
mangiato da una donna incinta. (Gilbert, 2017)
Durante il terzo trimestre non deve mostrarsi molto nei luoghi pubblici, ma deve camminare ogni
sera per evitare un parto lungo e difficile. Infine, le è vietato mangiare salato a tarda sera per
evitare un gonfiore dei piedi. In molte etnie del Senegal, le donne vengono massaggiate
regolarmente dall’ottavo mese di gravidanza da una matrona al fine di tonificare il muscolo uterino
e rendere le contrazioni più efficaci al momento del parto. Il massaggio previene anche le
smagliature. (Ngom, 2017)
Come emerge anche dalle interviste, il movimento in gravidanza viene considerata un’attività
necessaria per poter affrontare al meglio la gestazione e partorire senza complicazioni. Seppur le
attività aerobiche raccomandate in gravidanza come il nuoto, la cyclette, la ginnastica in acqua e lo
yoga non siano molto diffuse in Senegal, le donne di famiglia insistono molto, affinché la gravida
faccia delle lunghe passeggiate e si occupi anche delle faccende domestiche più faticose (basti
pensare al deub, tecnica utilizzata per lavorare cereali come ad esempio il miglio, che necessita di
un movimento ritmico ed energico, comparabile ad un esercizio motorio).
Secondo l’ACOG (The American College of Obstetricians and Gynecologists), i benefici dell’esercizio
fisico durante la gravidanza sono numerosi. Gli studi osservativi delle donne che si muovono
durante la gravidanza hanno indicato benefici quali riduzione delle incidenze di diabete
gestazionale, parto cesareo e parto vaginale operativo. L’attività fisica può anche essere un fattore
essenziale nel recupero del post-partum e nella prevenzione dei disturbi depressivi delle donne nel
periodo post-partum. In gravidanza, l’autopercezione di benessere, sia complessivo che dal punto
di vista cardiorespiratorio, è associata a una minore percezione di dolore corporeo, dolore lombare
e sciatico e a una riduzione dell’invalidità dovuta al dolore. (ACOG, 2020)

Per poter comprendere cosa intendono le donne quando riferiscono di aver partorito in una
struttura sanitaria, si rende necessario fare un excursus sull’organizzazione della sanità in Senegal.
Il distretto sanitario è assimilato ad una zona operativa comprendente almeno un centro sanitario
e una rete di posti di assistenza sanitaria. Il Senegal conta attualmente 56 distretti sanitari. Ogni
distretto o area operativa è gestito da un primario. I posti di assistenza sanitaria, gestiti da
infermieri o ostetriche, sono situati nei comuni, nei capoluoghi di comunità rurali o nei villaggi
relativamente popolati. I malati vengono evacuati dai posti ai centri e dai centri agli ospedali. I tagli
cesarei sono assicurati solo negli ospedali e in alcuni centri sanitari dotati di sale operatorie. Si ha
un’ostetrica ogni 4.600 donne in età fertile, mentre la norma raccomandata dall’OMS è di 1/300.
(Faye et al, 2010)
Analizzando le interviste condotte per la ricerca, è emerso un tema ricorrente, ovvero la
sensazione di solitudine e la mancanza di spiegazioni di alcune azioni e atti assistenziali intrapresi
dai professionisti sanitari durante il travaglio e al momento del parto in ospedale. Ciò fa sì che
molte donne vivano questo momento come un vero e proprio distacco dalla famiglia, che le ha
sostenute fino a quel momento. Questa situazione potrebbe influire significativamente sulla
percezione complessiva delle donne riguardo l’evento nascita. Diventa quindi doveroso elaborare
delle strategie per un’esperienza parto più positiva.
Un recente studio condotto dal Dipartimento di Scienze della salute, dell’Università di Québec,
riguarda proprio il parto umanizzato in Senegal. L’intervento discusso in questo studio è stato
attuato per la prima volta nel 2009 dal governo senegalese in collaborazione con l’Agenzia
giapponese per la cooperazione internazionale (JICA). Il suo obiettivo era rafforzare il continuum
delle cure e sviluppare il concetto di “assistenza umanizzata” per le donne. La JICA definisce “parto
umanizzato” come segue: “Una serie di condizioni che permettono alle donne di sentirsi a proprio
agio e di vivere un’esperienza di parto piacevole”. Il concetto si basa su sei componenti: 1)
professionisti della salute motivati e attenti, focalizzati sulla prevenzione 2) ripristino della dignità
per la partoriente 3) libertà di scelta per la posizione di nascita (supina, in piedi, a carponi, sul
fianco, accovacciata, seduta 4) libertà di mangiare o bere, 5) massaggi e rilassamento e 6)
compagnia. Il parto umanizzato comporta anche la riorganizzazione spaziale delle strutture
sanitarie per includere sale parto individuali adeguatamente attrezzate. Questo intervento
dovrebbe migliorare la qualità delle cure fornendo un’esperienza di parto positiva. (Gélinas et al,
2023)
Nel parto standard, i professionisti sanitari mettono la partoriente su un tavolo, le mettono una
perfusione e i movimenti sono limitati, la donna non può assumere una posizione antalgica. Con il
parto in stile libero, la donna percepisce un’atmosfera amichevole, è meno stressata e il travaglio
potrebbe durare meno. L’ostetrica è aiutata dall’accompagnatore. Questo è ciò che viene chiamato
parto umanizzato. Così, oltre al tradizionale tavolo da parto, ci sono tatami e cuscini, palle di diversi
formati, liane, ecc. A tutto questo si aggiungono metodi di rilassamento che sono efficaci per
alleviare il dolore durante il parto.
Ad oggi non sono ammesse al parto in stile libero le donne con abbondanti perdite ematiche o
ipertensione, quelle che presentano problematiche a livello pelvico e le donne con precedenti
cesarei. (Samb, 2021)

La maggior parte delle ostetriche intervistate per lo studio ritiene che la posizione di parto libera
sia più difficile da gestire rispetto al parto in posizione litotomica: “Comporta molto lavoro. Il parto
umanizzato non è facile. Con più personale potrebbe essere fattibile, ma in questo momento ci
stiamo provando comunque perché le donne lo stanno richiedendo”. Le ostetriche hanno anche
criticato l’attrezzatura per il parto, dicendo che non era adatto per la posizione libera al parto. Un’
ostetrica afferma “Per me, il parto umanizzato proviene dai giapponesi. Loro sono flessibili, ma noi
siamo forti. Mi fa preoccupare per le complicazioni. Sono preoccupata per le fistole”
Tuttavia, diversi partecipanti allo studio, la maggior parte dei quali appartengono ai gruppi di
ostetriche, Bajenu Gox, membri del HDC (Health Development Committee; JICA, Japan
International Cooperation Agency) e uomini, trovano che il modello di parto promosso attraverso
l’intervento non sia un problema in termini di valori culturali, in quanto simile al parto a domicilio
assistito dalle levatrici tradizionali.
Ciononostante, la maggior parte delle madri che allattano e alcune partorienti intervistate,
pensano che la posizione di nascita standard dato il contesto sia sdraiata su un tavolo: “Per noi,
sdraiarsi è la posizione più rassicurante perché è ciò a cui siamo abituate e ci sentiamo più a nostro
agio. La posizione sdraiata è più in linea con gli standard sociali in Senegal”. Di conseguenza, poche
donne sono inclini a provare posizioni diverse dalla sdraiata sulla schiena. Un’ostetrica dice: “Le
donne non vogliono perché credono che se usano una posizione diversa, il bambino cadrà o
accadrà qualcosa alla donna”.
Lo stesso è stato detto per quanto riguarda la presenza di uomini nel reparto maternità. Questa
pratica non è facilmente accettata a causa della persistenza di alcuni standard sociali e culturali che
definiscono il parto come attività di una donna. Secondo quanto detto da una delle ostetriche
partecipanti, in alcuni gruppi etnici, i costumi non consentono agli uomini nella sala parto” (Gélinas
et al, 2023)
Secondo un’analisi comparativa dei diversi modelli di parto, senegalese ed italiano, l’unica
posizione in cui le donne senegalesi (trasferitesi in Italia) scelgono di partorire, appare infatti quella
in litotomica, ospedaliera standard, descritta da molte di loro come il principale simbolo del parto
moderno. Dall’altra, sembrano fortemente temere la possibilità di ricevere l’anestesia epidurale o
di partorire con il cesareo. Ciò che le caratterizza in questo senso è il tentativo di continuare a
servirsi delle pratiche suggerite in Senegal per affrontare il dolore del parto e per cercare di evitare
un taglio cesareo. A questo proposito, come è stato possibile osservare nel corso della ricerca, il
principale rimedio utilizzato contro il dolore è il ricorso alla parola di Dio, introdotta in sala parto
sotto forma di acqua coranica (saafara) da applicare sul corpo, così come sono solite fare nelle
strutture ospedaliere del loro Paese. L’impiego di due diverse espressioni linguistiche, quali “J’ai
accouché” (ho partorito) e “j’ai été opérée” (sono stata operata) per descrivere l’esperienza del
parto per via vaginale e quella del taglio cesareo mostra, infatti, fino a che punto questo non venga
considerato dalle donne come un vero parto. Come sottolineato da molte donne intervistate,
l’immagine evocata nella loro mente dalla proposta di partorire in una posizione diversa da quella
ospedaliera standard, affiancate dalla sola ostetrica in un ambiente privo di attrezzature mediche,
appare quella di un ritorno al parto in villaggio, quando le donne erano solite partorire in posizione
accovacciata, assistite dalle cosiddette matrones, assimilabili alle nostre levatrici del passato. La
condivisione di una rappresentazione negativa di tale tipo di parto, descritto dalle campagne di

sensibilizzazione portate avanti in Senegal come uno dei principali ostacoli alla lotta contro la
mortalità materno-infantile, sembra tradursi, di fatto, nella resistenza mostrata dalle donne
senegalesi rispetto al modello della nascita incontrato a Poggibonsi, il quale viene descritto da
molte di loro come un “tornare indietro”. (Quagliariello, 2018)
In Senegal, il taglio cesareo ha permesso di ridurre il tasso di mortalità materna e fetale. Sono
eleggibili tutte le donne senegalesi in stato di gravidanza il cui stato di salute o quello del feto
richiede il ricorso ad un taglio cesareo. Si tratta, principalmente, dei casi di cesarei obbligatori, dei
cesarei di necessità e dei cesarei di prudenza. Con la «Couverture Maladie universelle» Copertura
Malattia Universale, nuova politica dello Stato del Senegal, il taglio cesareo è accessibile a tutte le
donne con parte delle cure gratuite in tutte le strutture sanitarie pubbliche del paese che sono in
grado di praticare il taglio cesareo: ospedali, centri sanitari, SONU (Cure Ostetriche e Neonatali di
Emergenza), i centri sanitari con sala operatoria e le strutture sanitarie che forniscono cure
ostetriche neonatali di emergenza. Sono gratuiti:
 l’atto chirurgico;
 il bilancio preoperatorio;
 il kit di medicinali e di prodotti di consumo utilizzati durante tale atto;
 il ricovero ospedaliero non superiore a cinque giorni;
 i prodotti e i medicinali necessari per un’eventuale rianimazione e il relativo bilancio.
(Ngom, 2017)
Il parto a domicilio
In Senegal, quasi la metà delle donne partorisce a domicilio. Il parto tradizionale ha spesso luogo
nelle zone rurali. Le donne partorivano più spesso in fondo al cortile della loro casa e poi andavano
a riposare per qualche giorno in un luogo che attualmente si chiama “maternità tradizionale”.
Per facilitare il parto, la madre senegalese si libera dei gris-gris (amuleti che proteggono dalla
sfortuna) e degli altri amuleti indossati durante la gravidanza. Sovente, le donne che vivono in
queste zone partoriscono nei bagni, situati dietro le case e spesso costruiti in palizzate, senza
alcuna copertura e protezione. La donna rimane in bagno con la levatrice che l’assiste fino a
quando non ritorna in sé e può finalmente tenere in braccio il suo neonato. In questo contesto, le
donne possono essere assistite da ostetriche tradizionali chiamate “madri delle puerpere”. (Samb,
2021)
Il parto a domicilio, effettuato da persone non qualificate, in cattive condizioni di asepsi, costituisce
una delle principali cause di morte materna. In Senegal, circa 40% dei parti avviene a casa e la
situazione è più preoccupante nelle zone rurali (53,4%). Per facilitare l’accesso alle cure, le autorità
hanno raccomandato la gratuità del parto in tutte le strutture sanitarie e quella del taglio cesareo
negli ospedali al di fuori della regione di Dakar. Nei paesi in via di sviluppo, il basso livello
socioeconomico, l’analfabetismo delle donne, il numero di consultazioni prenatali (CPN),
l’inaccessibilità alle strutture sanitarie e la posizione della donna nella società, che le conferisce
poco potere decisionale, sono stati trovati come fattori associati. Si ritiene che una preparazione al
parto, informando la donna sulla necessità di risparmio, in modo da poter far fronte ai costi in caso
di complicazioni, di scelta della struttura in cui avverrà il parto con la presenza di un determinato
professionista (ostetrica e/o ginecologo), possa ridurre il parto a casa. (Faye et al, 2010)
La nascita in ospedale però, se rassicura in materia di igiene, sorveglianza del travaglio e del parto,
spesso sarà però mal vissuta, a causa dell’impossibilità di rispettare le tradizioni. Il personale
sanitario che si occupa di tali pazienti dovrà, con l’aiuto dei mediatori culturali, sforzarsi nel
conoscere un minimo di costumi e di divieti, cercare di ottenere la fiducia attraverso un
atteggiamento rispettoso e di ascolto e adattare al meglio le proprie pratiche rispettando le norme
di igiene e di sicurezza. (Samb, 2021)
Attualmente le tecniche di parto hanno conosciuto una notevole evoluzione. Le ostetriche hanno
partecipato a diverse formazioni di rafforzamento delle competenze per svolgere al meglio il nobile
lavoro loro affidato. Al fine di sensibilizzare gli abitanti sui rischi del parto a domicilio, ma anche
sulla prevenzione dei comportamenti a rischio e sulla necessità di effettuare controlli regolari in
gravidanza, si tengono dei forum di sensibilizzazione un po’ ovunque. Queste chiacchierate
avvengono solitamente nel cortile delle maternità e i capi villaggio, i notabili, il personale medico e
le mamme cercano poi di diffondere il messaggio (Samb, 2021)
Il parto a domicilio può anche rientrare nelle specificità culturali di determinate etnie presenti in
Senegal. Anche in presenza di strutture sanitarie adeguate, il parto a domicilio è tradizione. Infatti,
in alcune comunità come quella dei Séreers di Niakhar in Senegal, il parto a domicilio costituisce
una tappa iniziatica nella vita. La donna deve partorire da sola e in silenzio: è una condizione
onorevole che le permette di passare da sposa a madre. (Faye et al, 2010)
Il parto a domicilio però, che avviene senza la presenza di un professionista sanitario, non è sempre
dovuto alle tradizioni culturali. Potrebbe quindi essere una necessità e non una scelta, per lo scarso
numero di strutture ospedaliere nelle aree rurali, oppure per la povertà. Risulta quindi opportuno
ricordare che il sistema sanitario senegalese, pur essendo pubblico non è gratuito, dato che le
prestazioni sono a pagamento. Sovente il loro costo, così come quello dei farmaci, non è accessibile
per gran parte della popolazione.
L’importanza della condizione lavorativa della donna costituisce uno dei fattori determinanti nella
scelta dell’assistenza durante il parto: alcune donne che avrebbero voluto recarsi in una maternità
o in un altro adeguato centro di assistenza ostetrica non hanno potuto farlo a causa della
mancanza di risorse, mentre altre sono andate, ma non hanno potuto ricevere cure adeguate a
causa della mancanza di denaro. La mancanza di mezzi finanziari costituisce una vera e propria
barriera all’accesso alle strutture sanitarie.
A titolo illustrativo, in uno studio antropologico condotto in Africa Occidentale, una donna ha
testimoniato: “Quando ero lì, una donna ha partorito, era sul letto, abbiamo chiamato suo marito e
i suoi figli per dir loro: ‘Andate a prendere del denaro, andate a cercare 100.000 CFA, perché
stanno per operare vostra madre, c’è stata una complicazione, se non vi muovete in fretta, vostra
madre morirà’. Sono corsi rapidamente e hanno portato 5.000 CFA. Le ostetriche hanno cominciato
a ridere: ‘Che cosa faranno 5.000 CFA!’. Alla fine, la donna è morta. Non l’hanno operata. Non le
hanno nemmeno aperto un fascicolo…”
Oltre al livello di istruzione e all’accesso ai servizi sanitari, cosa può fare una donna se non ha la
possibilità di acquistare un kit per il parto o, nel peggiore dei casi, se non può permettersi un
intervento chirurgico? La situazione delle donne senza occupazione professionale in ambiente
urbano è particolarmente difficile quando non dispongono di un reddito, proprio come accade alle

donne delle zone rurali. Si osserva un vero impoverimento in questa categoria di donne, che
perdono anche la propria autonomia. Nonostante le difficoltà nel misurare l’attività economica
delle donne, questa variabile ha attirato l’attenzione dei ricercatori ed è stata evidenziata come un
fattore determinante nei comportamenti delle donne in materia di assistenza. Infatti, l’esercizio di
un’attività economica promuove l’empowerment delle donne. Una donna che lavora ha una
maggiore apertura al mondo esterno e una rete sociale più ampia. (Jaffré et al. 2009; Ngom N. F.,
2017)
Il puerperio
Le donne senegalesi accolgono i propri figli, somministrando loro gocce di acqua coranica
contenenti la parola di Dio (tokhantal), in modo da proteggerli fin da subito, anche con una serie di
oggetti quali, ad esempio, i teere utilizzati nel corso della gravidanza (Quagliariello, 2018)
Il puerperio è un periodo di transizione e adattamento che richiede attenzione e cure specifiche,
sia per il benessere fisico neonatale che per quello emotivo della madre. Si rende quindi necessario
il sostegno da parte del partner o dai familiari.
In Senegal, dopo la nascita, la madre e il bambino si riprendono da questa prova con un lungo
riposo e trattamenti speciali. L’ entourage femminile le offre massaggi e le prepara bevande
naturali a base di Bissap (ibisco), Kel (pianta appiccicosa) e datteri; è possibile che al bambino
venga fatto un bagno rituale in tre fasi: per il primo bagno si utilizza acqua tiepida, nel secondo si
aggiunge sapone e nel terzo un gioiello in oro o argento e miglio. Questo dovrebbe garantire al
bambino una lunga vita, la salute e la prosperità. (Samb, 2021)
L’unico sforzo richiesto alla madre è allattare. L’allattamento al seno è molto comune in Senegal. In
effetti, è il modo in cui quasi il 100% delle donne nutre il proprio bambino. (Diagne-Guèye et al,
2011) I programmi in Senegal scoraggiano l’introduzione precoce di formule e/o alimenti solidi,
semisolidi o morbidi per neonati di età compresa tra 3 e 5 mesi e promuovono l’allattamento
esclusivo al seno. L’allattamento al seno è molto diffuso e la durata varia da 12 a 36 mesi, con una
media di 18-24 mesi. In particolare, si osserva una durata media di 18 mesi a Dakar rispetto ai 24,3
mesi nelle zone rurali. L’unica problematica riscontrata è l’abitudine di dare dell’acqua ai lattanti
che non hanno ancora raggiunto il sesto mese di vita, esponendo così i loro bambini a molte
possibili malattie trasmesse dall’acqua, come diarrea e infezione respiratoria acuta, e contaminanti
che influenzano la nutrizione (spreco e arresto) e carico corporeo tossico (Frazzoli, 2020).
Si riscontra che il 42% dei neonati riceve una somministrazione di acqua precoce (prima dei sei
mesi). Molto spesso ciò è dovuto a rappresentazioni socioculturali. Tra i fattori che ostacolano
l’attacco precoce al seno e causano la somministrazione precoce di acqua, il più importante
sembra essere la pratica del “Tokhantal”. (Diagne-Guèye et al, 2011)
Per la cultura senegalese è di cruciale importanza proteggere il neonato dal malocchio e dagli
spiriti, perciò si evita di svelare il nome prima del giorno del battesimo previsto una settimana
dopo il parto, quando, come stabilito dal Corano, avverrà la presentazione del bambino all’interno
della comunità. (Quagliariello,2018)
Il neonato viene allora chiamato liir, Nenne, cuux, doom, gan-gi, bànt ecc., in riferimento alla sua
“fragilità” considerata. L’entourage, per paura di agire, negativamente, con la potente parola, su
questo “piccolo corpo” in divenire, corpo destinato al futuro di cui non bisogna disturbare la quieta

evoluzione, si rifiuta di nominare quest’ultimo con il proprio nome, yaram. Il corpo in questione è
quello del neonato. Si nasconde, deve essere nascosto, come è supposto essere, agli occhi dei
Wolof, sia fisicamente che misticamente, essendo così “fragile”. Non viene portato fuori dalla
stanza materna finché non avrà una settimana. L’espressione wolof dugg néek (” entrare nella
stanza”) rivolta a una donna che ha appena avuto un figlio dice molto sulla situazione.
La donna, che ha appena dato alla luce il neonato ed è “entrata nella stanza” deve restarvi, il
tempo che il neonato prenda più forma fisicamente e sia meglio protetto, anche misticamente per
sfuggire agli effetti dannosi e persino devastanti del malocchio e della lingua pericolosa e fatale.
(Ndiaye, 2018)
Una volta che la neomamma è rientrata nella sua stanza, mette in testa alla culla del neonato un
coltello rivestito di carbone per allontanare lo sheitan (nome attribuito al diavolo dai musulmani)
dal bambino. Per una settimana, non dovrebbe rimanere solo per un secondo. Se la mamma deve
assentarsi, chiama un familiare per prendersi cura del bambino, perché necessita una continua
protezione. (Samb, 2021)
Altra pratica emersa dalle interviste è il massaggio infantile e della puerpera, per cui è essenziale
comprendere tutto il significato e la dimensione simbolica del rituale di massaggio dàmp,
occasione di modellamento, di rimodellamento e di creazione, culturalmente permesso, di
imposizione normata di un corpo, diciamo di una forma, socialmente istituita, per la vita. La
struttura corporea, “è una sorta di specchio della società. Uno specchio morale”.
Bisognerebbe sapere che, nei Wolof, il massaggio infantile è un’attività materna, un delicato
“lavoro” la cui tecnica deve essere appresa. A questo proposito, spetta alla nonna materna o a
qualsiasi donna anziana della parentela, prendersi cura del bambino, essendo più esperta nel
gestire un corpo tanto fragile.
Quest’ultima stende sul palmo delle mani un unguento a base di burro di karitè e polvere di sale.
Quindi usa l’incensiere per riscaldare la pasta e liquefarla. Dopo questa sequenza, passa all’atto di
strofinare delicatamente la schiena del neonato partendo dalla testa verso le gambe. Se il bambino
è di sesso femminile, la massaggiatrice si ferma per un momento sui suoi glutei, che tira verso l’alto
e viene fatta pressione sui fianchi in modo che crescano. Quando si tratta di un maschio, la
massaggiatrice preme sui glutei per renderli piatti e “duri”. Lo tiene anche per le due gambe, con la
testa in giù, lo scuote forte, al fine di far pendere il peso del corpo verso il petto; lo scopo di questo
gesto è di sviluppare questa parte. Secondo i Wolof, la morfologia corporea di un uomo deve
assomigliare a quella di un leone. (Ndiaye, 2018)
I riti di passaggio sono caratterizzati da una struttura sequenziale ternaria: riti di separazione del
gruppo, riti di margine (detti anche riti preliminari) e riti di reintegrazione al gruppo. L’importanza
rispettiva di queste tre fasi può variare secondo i rituali: i funerali pongono l’accento sulla
separazione del defunto rispetto alla comunità dei viventi, mentre i riti di nascita segnano al
contrario l’integrazione del neonato nel gruppo. Il corpo è al centro dei riti di passaggio. È infatti
generalmente attraverso azioni che si esercitano direttamente sul corpo degli individui che avviene
il cambiamento di status. I riti di nascita si basano su un trattamento del corpo del neonato
(sezione del cordone ombelicale, massaggi, uso della placenta) (Bonhomme, 2008)

Se si dovesse, d’altronde, convenire con Le Breton (2001) che il corpo è “il ceppo identitario”, per
eccellenza, dobbiamo, da questo punto di vista, poter comprendere una delle ragioni per le quali la
cerimonia di datazione del cognome e del nome del neonato, “bout de bois de Dieu ” (ngenté, in
wolof), è di importanza capitale nell’ambiente wolof senegalese. È il momento a partire dal quale
quest’ultimo, che ha appena raggiunto la sua gente quaggiù, cioè al “villaggio sulla terra”, ” si vede
definitivamente “fissare” nell’organizzazione parentale e per l’eternità. Come dice il Wolof, “si può
cancellare tutto tranne il rapporto parentale”. Questo potrebbe essere una delle ragioni per cui in
Senegal c’è la tradizione di scegliere come nome per il proprio figlio quello di un parente (zio/a,
nonno/a, cugino/a…). Il neonato sarà così il turando (ha ovvero lo stesso nome) di qualcuno.
Quando la moglie entra nella stanza il marito deve uscire, secondo i Wolof. Così, impiegano
l’espressione “génn néek” (lasciare la camera), anche per mobilitare i capitali economici e sociali,
necessari per il successo del battesimo. Una volta celebrata la sua nascita (con il sacrificio del
montone in concomitanza all’annuncio del suo nome) e il debutto in comunità, il neonato diventa
ufficialmente garante della continuità. (Tang, 2007; Ndiaye, 2018)
Il giorno del battesimo è un giorno di grande festa, spesso, soprattutto se si tratta del primo figlio.
Spesso si organizza un sabar: un gruppo composto dai 10 ai 12 musicisti che suonano tamburi di
diversi tipi; si dispongono in genere a semicerchio, mentre il leader sta al centro. (Tang, 2007).
I ritmi sabar sono impiegati in diverse occasioni: dalle cerimonie legate al ciclo della vita a eventi
sportivi e politici e sin dagli anni Ottanta sono entrati a far parte della scena musicale
internazionale, grazie ad artisti di grande fama come Dudu N’Diaye Rose. Le composizioni
per sabar sono formate in genere da ritmi di accompagnamento per la omonima danza e da bàkks,
frasi ritmiche, anche molto elaborate, derivanti dal linguaggio parlato.
Nella società tradizionale wolof, i suonatori di sabar appartevano in passato a una casta di musicisti
noti come géwël (equivalente del più noto termine griot): bardi al servizio dei nobili géer e per i
quali si esibivano elogiandone la vita e le opere mediante i tamburi. Attraverso i sabar quindi i
géwël parlavano agli ascoltatori producendo rappresentazioni ritmiche di frasi, proverbi, formule. Il
legame fra i suoni emessi dai sabar e la lingua wolof è tuttavia esclusivamente prosodica e ritmica
al contrario della maggioranza dei tamburi parlanti africani usati da popolazioni bantu che
utilizzano lingue tonali. (Crupi, 2019)


L’obiettivo principale di questa ricerca è stato quello di offrire una panoramica delle pratiche e
delle consuetudini culturali del Senegal, inerenti alle scelte procreative, alla gravidanza, al parto e
al puerperio, attraverso le testimonianze di 40 donne senegalesi, appartenenti alle diverse caste ed
etnie che compongono il Paese.
Come si può dedurre dalle interviste e dalla letteratura, il matrimonio rappresenta quindi l’unica
scelta di vita conforme alle norme sociali senegalesi. Talvolta si tratta tra l’altro di un’imposizione
dei genitori che, vigilano attentamente sulle decisioni matrimoniali (sulle tempistiche e sulla scelta
del coniuge), con l’obiettivo di preservare il benessere della famiglia e della comunità nel
complesso. Pertanto, nella maggior parte delle volte viene scelto un parente come coniuge per il/la
figlio/a. (Gilbert, 2017)
Un altro tema centrale che è emerso è l’importanza di avere figli. Le motivazioni sono svariate: la
decisione potrebbe derivare dalla visione di una progenie numerosa come ricchezza (Sidibe et al,
2020), come assicurazione in caso di vedovanza (Lambert et al, 2016) o come realizzazione
personale e ottenimento del rispetto della famiglia del coniuge.
Non è possibile discutere della gravidanza senza nominare il malocchio, perché quest’ultimo
modula la gestione della gravidanza stessa. Appena la donna sa di essere gravida cerca di
proteggersi subito con i teere e i saafara, che le vengono procurati dalla madre o comunque dalle
componenti femminili e fidate della famiglia. (Ngom, 2017)
La paura del malocchio può causare, al primo trimestre, nelle donne molto tradizionaliste, un
ritardo della prima visita prenatale (Faye et al, 2010), il dover strafare affinché nessuno noti lo stato
gravidico e negare costantemente nel momento in cui qualcuno lo sospetta. A partire dal secondo
trimestre invece, porta le donne ad evitare la partecipazione ad eventi e la frequentazione di
luoghi pubblici fino al parto. (Ngom, 2017)
La gravida deve prestare attenzione anche all’alimentazione e all’attività fisica. è necessario che
riduca la consumazione di molti alimenti, quali il pane, il riso, la pasta, la carne e bevande come
l’acqua eccessivamente fredda, al fine di evitare la macrosomia fetale. Le si consiglia invece di
muoversi, poco importa se occupandosi delle faccende domestiche, recandosi al pozzo del villaggio
per recuperare dell’acqua, lavorando il miglio nel mortaio o semplicemente passeggiando.
L’attività motoria in gravidanza apporta numerosi benefici: riduce l’incidenza del diabete
gestazionale, del ricorso al taglio cesareo e al parto vaginale operativo e previene i disturbi
depressivi del post-partum. (ACOG, 2020)
Il parto purtroppo, viene spesso vissuto come un momento di abbandono totale, perché non
presente alcun familiare all’interno della stanza dedicata e i professionisti sanitari sembrano aver
dimenticato l’importanza della comunicazione in un momento così delicato.
Il primo intervento attuato dal governo senegalese in collaborazione con l’Agenzia giapponese per
la cooperazione internazionale (JICA) e riguardante l’assistenza ostetrica durante il travaglio e il
parto risale al 2009. Il suo obiettivo era rafforzare il continuum delle cure e sviluppare il concetto di
“assistenza umanizzata”. (Gélinas et al, 2023)
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Con il parto in stile libero, la donna percepisce un’atmosfera amichevole, è meno stressata e il
travaglio potrebbe durare meno. L’ostetrica è aiutata dall’accompagnatore. Questo è ciò che viene
chiamato parto umanizzato. (Samb, 2021) Tuttavia, questo progetto trova difficoltà nell’attuarsi,
per mancanza di personale, che, anche se volenteroso talvolta non è adeguatamente formato e per
il fatto che le donne sono poco inclini al cambiamento, essendo tradizione partorire in posizione
litotomica nel contesto ospedaliero. (Gélinas et al, 2023)
Il parto a domicilio invece, è diventata una pratica meno diffusa rispetto al passato nel contesto
urbano, ma comunque il 40% delle donne partorisce ancora a casa. Si tratta di donne che vivono
soprattutto nelle zone rurali, dove per arrivare in una struttura sanitaria è necessario percorrere
delle distanze notevoli. (Samb, 2021) Talvolta, la motivazione potrebbe anche essere economica:
essendo gran parte delle prestazioni sanitarie a pagamento, spesso le donne residenti nei villaggi
non hanno i mezzi economici per potersi permettere le visite prenatali, fondamentali nel rendere
consapevole la donna dei rischi che ci posso essere sia in gravidanza che al parto. (Faye et al 2010;
Ngom, 2017)
Il puerperio è un periodo di transizione e adattamento che richiede sostegno, per il benessere
fisico ed emotivo della diade mamma-bambino. In Senegal ci si prende cura della puerpera
preparandole dei pasti appositi e offrendole massaggi finalizzati alla ripresa del corpo. (Ndiaye,
2018; Samb, 2021) Anche al neonato si pratica il massaggio infantile, in modo che una volta
cresciuto, diventi un giovane sano e forte. (Ndiaye, 2018) Per poter pensare al suo futuro però, è
necessario proteggerlo nel presente, tenendolo al sicuro da occhi indiscreti e da spiriti maligni,
tramite la permanenza per la prima settimana nella stanza materna, l’utilizzo dei teere e la non
rivelazione del nome fino al battesimo, che avviene al settimo giorno dopo la nascita.
(Quagliariello,2018; Samb, 2021)
Il battesimo costituisce per i senegalesi un momento di grande importanza, nel quale si praticano
diversi riti come la rasatura dei capelli del neonato e la rivelazione del nome in concomitanza al
sacrificio di un montone. (Ndiaye, 2018) Essendo un giorno di grande festa, molte volte la coppia
decide di organizzare un sabar, specialmente se si tratta del primo figlio. (Tang, 2007)
Questa analisi mira a promuovere una maggiore comprensione da parte delle ostetriche delle
tradizioni e della cultura del Senegal, dato che potrebbero interagire con donne senegalesi nei
diversi contesti lavorativi, quali consultori, ambulatori e reparti come la patologia della gravidanza,
la sala parto e il puerperio.
La ricerca vuole anche essere uno spunto per incentivare la conduzione di uno studio più
approfondito, considerando che il campione è composto esclusivamente da 40 donne e non è stato
possibile intervistare tutte le etnie presenti nel Paese

Fatima Samb

Fatima Samb ragazza senegalese, ha svolto il tirocinio nei principali ospedali milanesi come la Mangiagalli, la Macedonio Melloni. Durante questa esperienza ha seguito le donne nelle diverse situazioni comprese le violenze e la mancata integrazione pubblichiamo qui , su sua autorizzazione parti della Tesi di laurea

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